Panucci: Roma non vorrei giocare

17/12/2009 alle 10:00.

CORSPORT - Un amore così non può finire, ne­anche adesso che si è rotto, neanche se il de­stino ha deciso una trama diversa. «Roma è la mia vita, la mia città, la mia maglia, i miei tifosi, il mio mondo» . Christian Panuc­ci fa il duro perché l’hanno disegnato così, e anche perché non ha paura di dire quello che pensa. «Quello che è successo a Genova non è dipeso da me. Quando sbaglio alzo io per primo un braccio. Ma stavolta non ho sbagliato, e andrò fino in fondo, perché so­no ferito umanamente» . Qualche volta, se avesse contato fino a dieci, magari si sareb­be salvato in calcio d’angolo. Invece lui no, lui va avanti a testa bassa, lui se ne frega dell’effetto che fa.

«Sì, con la Roma si è spezza­to tutto a , in gennaio, quando rifiutai la panchina. Mi ricordo che una settima­na dopo chiamai Rosella Sensi e non mi rispose. E poi non sono più riuscito a par­larle. Se potessi tornare in­dietro, credo che direi ancora quello che ho detto a Spalletti, e poi però andrei in panchi­na » . Ma tornare indietro non si può quasi mai, e qualche volta quello che si è rotto non si rimette insieme. «Ero convinto che avrei chiuso la mia carriera a Roma. Loro mi di­cevano spesso che sarei rimasto alla Roma anche dopo, a fare il dirigente. Io ne ero ono­rato, ma non avevo deciso niente, anche perché lavorare a Roma non è facile. E poi quando decidi cosa farai dopo vuol dire che hai già chiuso, io invece andrò avanti alme­no un’altra stagione, poi vedrò. Di sicuro non vado avanti se vedo che non ne ho più voglia. Quando capirò di non poter più dare niente, lascerò lì i soldi e me ne andrò, l’ho detto anche a Ghirardi» .



Era convinto di farlo a Roma, dove ha messo su casa, dove vive anche suo figlio Juan. Invece domenica ci torna, ma da av­versario, e con tre punti in più in classifica.

«Una partita che non avrei mai voluto gio­care. Però la gioco. E spero che sarà bella per me e per il Parma. E ovviamente farò tutto quello che potrò perché sia così». Co­me ha sempre fatto, perché è l’unico modo che conosce. «In otto anni a Roma ho dato tutto, giocando anche quando non potevo neanche scendere in campo. Quella che sto vivendo questa settimana è un’emozione continua, indescrivibile. Ritroverò il mio mondo, non solo , i miei compagni, i massaggiatori, tutti quelli che lavorano a Trigoria. E quei tifosi unici, speciali, che mi hanno sempre trattato con i guanti, e che andrò a salutare prima e dopo la partita. Non parlo per ruffianeria, non è il mio gene­re ».

Forse, se avesse saputo che Spalletti avrebbe preso un’altra strada, magari... «Io della Roma sono innamorato, ma le cose so­no andate diversamente. Il mio destino è stato questo. Adesso sono a Parma, sono contento di essere qui, e difenderò questa maglia fino alla morte». Ha già detto, stuz­zicato dal suo primo gol , domenica nel derby col , che se dovesse se­gnare anche all’Olimpico non esulterà. Sor­ride.

«A Roma nessun difensore aveva mai segnato tanto come me. Se devo fare il re­cord anche qui sarà meglio che mi dia da fa­re... E domenica per novanta minuti dovrò dimenticare quello che mi dirà il cuore. Lo farei anche se sulla panchi­na della Roma ci fosse mio padre».

Fuori c’è il sole ghiacciato di metà dicembre, un magaz­zino di campagna trasforma­to in albergo, i tavoli appa­recchiati per il pranzo di au­guri con il presidente Ghirar­di e i dirigenti. I giornali sparpagliati sui divani dicono che il Parma è quarto in classifica. «La ? Co­minciano a darmi un po’ fastidio certi di­scorsi. Per strada, al bar. Non vorrei che per­dessimo di vista l’umiltà. Se cominciamo a sentirci bravi, a fare i quarti in classifica, allora faremo fatica con tutti. Ma se mettia­mo in campo le nostre qualità, allora è du­ra per tutti contro questo Parma. Ma questi ventotto punti non ci arrivano da una botta di fortuna. Sono frutto dei nostri sacrifici, di un duro lavoro, di un martello come Guido­lin che sta dando l’anima per questa squa­dra. C’è il modo in cui ci parla tutti i giorni, con umiltà, dietro questi ventotto punti».

C’è un miscuglio azzeccato di giovani e di vecchi. E Panucci è il più vecchio, più anco­ra del presidente Ghirardi. Cannavaro, che ha la sua età, sarà il capitano dell’Italia ai Mondiali. Questo vuol dire che... «Niente, non vuol dire niente. Ho fatto 60 partite in Nazionale, ho provato grandi emozioni, ma ho chiuso. E’ vero, non ho vinto niente, ma allora Maldini cosa dovrebbe dire? E’ anda­ta così. Ma quello che so è che a maggio, quando finirà il campionato, io prenderò un aereo e andrò in vacanza. E quando l’Italia giocherà in Sudafrica io sarò dall’altra par­te del mondo. Nella vita bisogna anche sa­pere quando è ora di dire basta» .

Neanche se ci fosse un altro allenatore? E allora il duro si mette a ridere, di gusto. «Ma tanto un altro allenatore non c’è. E il passa­porto inglese non me lo danno» . Là c’è Ca­pello. Ma Panucci è qui. Si vede che il desti­no doveva avere in mente qualcos’altro.