E il profeta Geremia cerca il sorriso a casa sua

20/12/2009 alle 10:01.

IL ROMANISTA - C'è chi gli rimprovera ancora di sorridere poco. Come se contasse questo per essere campioni. Eppure, di passi avanti anche in tal senso ne ha fatti, Jeremy Menez, da quando – arrivato lo scorso anno accompagnato dall’etichetta di novello Zidane – è sembrato a lungo un corpo estraneo a questa squadra. Con quell’espressione tra l’indolente e l’annoiato. Di chi sembra che ti faccia quasi un favore, a giocare. Qualcosa che a Roma, indossando questa maglia, si possono permettere in pochi. O forse nessuno.



Certamente è servita la strigliata che il tecnico gli fece pubblicamente, davanti alla squadra, al termine della gara di andata con il Cska. E in sala stampa, quando ne denunciò tutti i limiti. Quelli caratteriali, appunto. Perché sui valori tecnici, il giudizio non è stato mai in discussione. Neanche per Ranieri. Ma serviva raddrizzarlo. E allora, più bastone che carota. «Meno tocchetti, e più concretezza.Anche in funzione dei compagni» disse allora il tecnico. I fatti dimostrano che era questa la strada, finché il posto di titolare se lo è conquistato meritandolo. In un ruolo che lo obbliga a rientrare e ad esser d’aiuto anche a centrocampo. «Questione di equilibri» è solito ripetere Ranieri. Per il quale il “tridente” può funzionare solo se Jeremy, da una parte, e Mirko dall’altra, si sacrificano per la squadra.

Tanti gli assist partiti dal piede di Menez, ma finora pochi gol. Sembra lontana la tripletta che, con la maglia del Sochaux, rifilò diciassettenne al Bordeaux in 7’. Sono quasi tutti fuori casa i gol segnati da quando è a Roma. Perlomeno quelli importanti. All’Olimpico si conta solo quello col Kosice, che quasi si perde in mezzo agli altri di quel 7-1. E’ passato un anno da quella prima retea Verona contro il Chievo, quel al volo come a dire “Ecco cosa so fare”. Sono poi venuti quelli col Milan a San Siro, l’anno scorso e quest’anno. Quello col Torino, e quelli a Gent e a Kosice. A Jeremy manca il gol importante all’Olimpico. Quello nelle grandi partite. E oggi col Parma è una di quelle. Il gol, se possibile, decisivo. Come è stato per Cassetti due settimane fa. Con la corsa senza freni sotto la Sud. Il cuore a mille. E il sorriso che si apre. Finalmente.