Battuti dallo show di Trentalange. Capello sbatte sul muro di gomma

28/11/2009 alle 11:26.

IL ROMANISTA (M. IZZI) - Nella scelta di ricordare Atalanta–Roma del 19 gennaio 2003 forse faremo storcere la bocca a qualcuno, certamente al “mitico” Fabrizio Grassetti, sommo e supremo storico dell’A.S. Roma, assolutamente allergico a qualsiasi foto della Roma legata a sconfitte: “Ma cos’è questa roba?… ma una foto di una vittoria non la metti neanche per sbaglio?”

Fabio Capello, rinunciato definitivamente a Batistuta (ad un passo dall’accasarsi all’Inter) e messo in castigo Cassano per motivi disciplinari (ma dai?), si affidava al tridente , Montella, Delvecchio. I giallorossi, in effetti partono alla grande e dopo soli 42 secondi Cafu ha già portato il panico nell’area dei padroni di casa. Al 6’ è Taibi, in tuffo, a levare dall’angolo un pallone che Montella in controbalzo aveva messo all’angolino. I padroni di casa mostrano buona volontà, ma la Roma è più forte e vuole i tre punti. All’8’ è ancora Montella a partire come un ciclone sulla corsia di destra del centrocampo, arrivato sul fondo l’aeroplanino non fa che rimettere al centro dove qualcuno, ne è certo, completerà il lavoro. Allora come oggi il “terminator” della Roma si chiama e per il capitano spedire in gol è un giochino da ragazzi. Il capitano è in giornata di grazia e cogliendo il momento di assoluto frastornamento dell’Atalanta, dopo soli quattro minuti pesca Delvecchio solo davanti al . A “Super Marco”, leggermente decentrato, manca la freddezza necessaria per concludere. I giallo-rossi avanzano da ogni zolla del campo, persino , non proprio un fulmine di guerra, al 19’ ruba palla al limite dell’area e inventa un’azione in percussione che conclude con uno sciagurato pallonetto che non inganna l’estremo nerazzurro. A questo punto, Fabio Capello inizia ad assomigliare ad Hanry Fonda nel film il “massacro di Fort Apache”. Tutto sembra tranquillo e il colonnello Owen cavalca sicuro al comando del suo squadrone di cavalleria, con le bandiere che garriscono al vento, asciugandosi di tanto in tanto il sudore della fronte…. a questo punto, però, gli indiani lo attirano in una trappola, imbottigliandolo in un canyon senza speranza. Capello non ha i baffetti e il cappellino da ufficiale dell’Unione, ma in compenso ha un impermeabile blu che assomiglia tanto alla divisa di Owen. Ad impersonare gli indiani ci persa l’arbitro Trentalange, che al 20’, sanziona un normale fallo a centrocampo di su Dabo con un’ammonizione incredibile. Il brasiliano che dieci minuti prima aveva rimediato un primo è così espulso.

Persino La Gazzetta dello Sport, in uno dei suoi titoli interni, l’indomani, titolerà: «L’Espulsione della Roma ». , non ancora acclimatato alle squisitezze di Torino, sponda bianconera, negli spogliatoi dichiarerà: «Trentalange è una vergogna ». La tensione in campo sale altissima, la Roma continua a spingere furiosamente per raddoppiare, ma al 30’ Beretta falcia Delvecchio a due passi dalla panchina della Roma. Trentalange si avvicina ed espelle Fabio Capello, che fuori dalla grazia celeste abbandona il campo urlando: «Non ho detto una parola». A riportare la serenità prova Tempestilli… e anche lui viene buttato fuori… gli “apache” sono ormai scatenati. Al 41’ arriva il pareggio di Doni, ma è a quattro minuti dal termine della gara che il film proiettato trova il suo epilogo. Questa volta non c’è John Wayne (nel film capitano Kirby) a cantare le lodi dei soldati che non ci sono più, ma Pluto Aldair che si vede fischiare contro una punizione inesistente. A sparare l’ultimo colpo di fucile è Tramezzani che conclude dalla distanza con un tiro che dopo aver battuto in terra in un paio di occasioni mette fuori causa Pelizzoli che tocca ma non in maniera tale per sbattere la palla fuori dallo specchio della porta. La sfera s’infila invece all’angolino di sinistra gonfiando la rete.

Un minuto dopo il triplice fischio finale si aprivano le consuete e ormai logore tavole rotonde sulla sudditanza arbitrale, sullo stress a cui sono sottoposti i direttori di gara e amenità di questo genere. L’episodio di Bergamo confermava una scia di arbitraggi sfavorevoli che avevano agevolato un’inerzia declinante di una squadra che, seppur dotata di un organico assolutamente di primo livello, si stava rendendo protagonista di un’annata estremamente deludente, che la vedeva vegetare nel centro-classifica. La situazione aveva reso sempre più polemico e furibondo Fabio Capello che aveva intuito probabilmente un’atmosfera non “positiva” attorno alla sua squadra e nei confronti degli obiettivi che questa si prefiggeva. Il più spaesato di tutti, paradossalmente, sembrava proprio , fresco delle italiche cose, che dichiarerà: «Arbitri, non vi capisco». Avremmo capito tutti quanti qualche hanno più tardi.