Stiamo imparando a inseguire con rabbia

23/10/2009 alle 10:24.

IL ROMANISTA (S. PETRUCCI) - Quando non ci speravamo più, il destro di Andreolli è esploso nel salotto di Mohamed Al Fayed, a ridarci fiducia almeno negli dei del calcio. L’uno a uno di Londra non ci fa gonfiare il petto come lo avessimo strappato al Chelsea o all’Arsenal, ma vale – oltre che un discreto passo nel girone di Europa League: ora siamo a 4 punti, terzi ma a un passo dalla vetta – un paio di conferme certe. La Roma di Claudio Ranieri, questa la prima, se proprio non muore mai, è mol- Q to difficile che tiri le cuoia. E, questa la seconda, ha imparato a inseguire con rabbia, e sfruttare..



Lo ha fatto anche ieri, in cima alla partita ormai a un passo dal segnare il più avvilente dei record: la sconfitta numero 15, su 17 avventure di coppa in terra inglese. Pericolo scampato, all’ultimo secondo, a tre giorni dalla beffa di San Siro. La fortuna, si sa, aiuta gli audaci. Quanto meno quelli che non smettono di provarci. O, e forse è il caso nostro, chi proprio non meriterebbe di soccombere, a dispetto delle sue stesse debolezze. Come la Roma che, pure, prima di quella ripresa finalmente decorosa ha provato a lungo a complicarsi la vita

da sé. Avvilente è stato in effetti l’inizio, anzi tutta la prima parte del match. Frittata presto fatta, secondo celebre copione, dopo ventitré minuti di totale inerzia di fronte all’insistito quanto mediocre assalto del Fulham, figlio legittimo del minestraro Roy Hodgson: ordinato, onesto e niente più. Doni, prima e dopo per fortuna più  efficace, ha improvvisamente deciso di imitare il connazionale Dida saltando col pugno molle come nutella sullo stacco del pennellone Hangeland, capace di scacciare in mischia Andreolli manco fosse una zanzara.



Per un tempo, così, riecco una Roma da piangere, ben al di là dell’efficacia degli avversari. Reparti sfilacciati,

pressing zero, gioco se possibile ancora meno, mai più di tre passaggi di fila azzeccati, un solo vero tiro a  rete, il sinistro di Riise, quello nostro, finalmente diretto nello specchio di Schwazer, peraltro pronto ad abbassare la saracinesca. Sempre orfano di (oggi nello studio del professor Mariani si gioca in fondo una partita non meno delicata), Ranieri, che non a caso non ha mai perso al Craven Cottage e nelle sfide con Hodgson in particolare, ha mischiato abilmente le carte nell’intervallo: fuori gli impalpabili Brighi e Okaka, dentro Pizarro e Perrotta, a dare altro corpo al centrocampo di fantasmi dei primi 45. Menez, fin lì troppo nascosto tra i lungagnoni del Fulham, è salito a fare la prima punta, dando presto la sensazione di trovare


maggiore consistenza nella solitudine.



Il Rosetti belga, al secolo Paul Allaerts, ha fischiato sempre contro: al 10’ poteva starci un rigore su Geremia, effettivamente più vivo nella seconda parte della gara. Ma si vede che il francese in area può essere malmenato a piacimento, in Italia come in Europa. Neppure l’ennesimo arbitro nemico ha però potuto evitare di indicare il dischetto al minuto 31 quando Riise, sempre il nostro, è stato steso nell’area piccola da Kelly, per sovrammercato espulso. Peccato che a rovinare tutto abbia pensato proprio Menez, preferito quale rigorista (ma perché?) a Pizarro, a Vucinic, a , allo stesso Riise: secco ma troppo centrale il del francese, Schwazer perfetto nella deviazione. Peccato davvero, fosse finita così, perché la partita era cambiata non poco, in meglio, specie all’ingresso di Vucinic, gettato nella mischia per l’ultima mezzora, al posto dei poveri resti di Taddei, specchio malinconico della Roma che fu.




Col montenegrino se non altro vivace in attacco, e soprattutto sotto la lucida regia di Pizarro – che guaio sarebbe perderlo – l’erba scivolosa del Craven Cottage si è infatti finalmente macchiata di giallorosso, coperta da una squadra magari mai spettacolare, ma via via in grado di occupare stabilmente la metà campo degli inglesi, fiaccati dal primo tempo sparato a tavoletta, quanto dalla loro oggettiva modestia. Abbiamo cominciato a spingere, vivaddio, inseguendo finalmente con una stilla di coraggio il traguardo troppe volte mancato in tanti viaggi oltremanica. Vucinic, , Guberti, Menez, Riise, ancora Vucinic, Mexes: a cavallo del rigore gettato  alle ortiche abbiamo in pratica giocato (e tirato in porta) solo noi, purtroppo senza concretezza né fortuna. Poi, quando eravamo prossimi a rassegnarci alla solita maledizione inglese, Andreolli ha scaricato sull’ultimo pallone la ferocia di chi sa di avere un conto aperto con la buonasorte, dopo troppi acciacchi, troppe attese, troppe illusioni. Un spaventoso a infilare finalmente il dannato Schwazer, il ragazzone che anni  a qualcuno osò paragonare a Giacinto Facchetti felice come una Pasqua. Forse almeno lui è risorto davvero, la Roma in attesa di tutto – di , di un’identità precisa, di un futuro certo – se non altro resta a galla.