LR24 (MATTEO VITALE) - 30 giugno 2024, almeno fino a questa data Daniele De Rossi sarà l’allenatore della Roma. Almeno. In conferenza, quando è tornato, ha detto: “Me la giocherò fino alla morte per restare qua”. E lo sta facendo, con tanto di vena gonfia e pugno chiuso alzato al cielo, come quando i colori della Roma li difendeva all’interno del rettangolo verde. Non è più un calciatore, oggi è un allenatore, allena (bene) la sua Roma. Lottare per rimanere, questo è il suo obiettivo, ma come raggiungerlo? Come guadagnarsi la conferma? Con i risultati, certo, e l’assenza di questi è il motivo per cui è qui dal 16 gennaio, ma non solo. Risultati, sì, ma quali? Il passaggio del turno in Europa League contro il Feyenoord, in un play-off che la Roma non avrebbe neanche dovuto giocare? Nel dubbio, ieri sera questo obiettivo è stato raggiunto, anche con una grande prestazione.
Dal raggiungimento di un posto valido per la prossima Champions League? Ci potrebbe stare, ma non va dimenticato che De Rossi ha ereditato una squadra che in 20 partite aveva realizzato la miseria di 29 punti, lontana due vittorie dal quarto posto. Dall’arrivo del nuovo tecnico la squadra ha totalizzato 12 punti su 15, migliorando il bottino rispetto al girone di andata contro Salernitana e Verona. Il problema, però, è che per raggiungere il 4° (o magari basterà il 5°, speriamo) posto servirà un ruolino di marcia quasi perfetto e, soprattutto, non saranno praticamente permessi passi falsi. Detto fra noi, e detto brutalmente, è dura.
No, non è maniavantismo: la Roma non sarà perfetta, ma è sicuramente abbastanza forte da fare meglio di quanto fatto nel girone di andata. In sostanza, l’asticella è bassa (in campionato…) e De Rossi deve riuscire a garantire almeno questo obiettivo, perché sarà, questo sì, uno dei risultati tangibili da raggiungere. Gli altri? Probabilmente sarà giudicata la gestione del potenziale, della rosa e dello spogliatoio, come valorizzerà la rosa (tutta) e dalla capacità di cercare e trovare nuove soluzioni tattiche, ma fondamentale sarà riuscire a costruire un’identità di squadra. Oggi come oggi qualsiasi giudizio definitivo su mister De Rossi sarebbe affrettato, fuori luogo e figlio di pregiudizi. Nella Capitale è già possibile trovare chi gli farebbe firmare un rinnovo pluriennale (per esempio il Capitano), chi non vede l’ora che perda qualche colpo per poter ricordare quanto arrivassero puntuali i treni in passato, chi scandisce il passare dei giorni ripetendo “test verità” e “esame”, alzando l’asticella e aumentando le pressioni con malizia, chi è pronto a gettarsi nel fuoco per lui, a prescindere da tutto.
De Rossi fino a questo momento non lo ha fatto (e scommetterei serenamente sul fatto che non lo farà), ma quanto sarebbe facile per lui dare la colpa al governo precedente, anche preventivamente, in merito alla questione quarto posto? Insomma, parliamoci chiaro, la situazione era ed è tutt’altro che facile. Sarebbe molto italiano, o comunque un classico, ma la verità è che De Rossi è rivoluzione fin dal giorno del suo esordio, quel ragazzino biondo di Ostia ha fissato fra tutte le altre la stella delle aspettative nei suoi confronti e con romantica costanza non ha mai deluso chi in lui ha riposto fiducia e speranza. Non una parola che non fosse d’amore, mai un tradimento. Appena arrivato ha messo i piedi nel fango e uno a uno ha sollevato per mano prima i tifosi, poi i giocatori, ha sciolto il cielo nero su Trigoria dando un calcio alle paure e poi ha rivoluzionato la squadra e il suo modo di giocare. In un mese è un bel bottino. 352? No, 433, anche tre e mezzo, ma se serve a 3. Non si specula, non si attende il compiersi del destino, ancora una volta DDR fa rima con rivoluzione: il destino ce lo costruiamo noi. E lo costruiamo dal basso.
In attesa dei risultati e quindi delle prossime partite, sperando in un filotto che faccia tremare la panchina dei migliori allenatori d’Europa, forse sarebbe saggio ripetersi quel noto motto per cui il tutto è più della somma delle singole parti. Partite, più che parti, nel nostro caso. Nel bene o nel male, solo il tempo e i Friedkin, soprattutto loro, sapranno dirci il finale. Sperando sia addirittura più bello della storia stessa.