LR24 (AUGUSTO CIARDI) - Tre mesi finalmente diversi. Nei numeri e nei fatti. 10 partite di campionato. 22 punti, 1 meno del Napoli, 1 più di Juventus e Milan, 2 più della Lazio, 8 più dell'Inter, 12 più dell'Atalanta. 16 gol fatti, 7 subiti, per 6 vittorie e 4 pareggi, con 5 partite, la metà, chiuse senza subire reti.
Un frullatore di sensazioni nato dalla centrifuga di inizio gennaio, la seconda partita dell'anno solare, quella del più grande suicidio sportivo degli ultimi anni, contro la Juventus all'Olimpico. Al termine di una delle più belle prestazioni incompiute della storia recente. Era il 9 gennaio, la Roma aveva aperto male il 2022 cadendo a Milano, arrivava la squadra di Allegri, ancora senza Vlahovic, ancora convalescente perché reduce dal primo mese di imbattibilità (l'ultimo crollo bianconero era stato firmato dall'Atalanta a Torino a inizio dicembre). Chi avrebbe perso rischiava di sparire dai quartieri alti della classifica e fino a venti minuti dalla fine l'unica indiziata era proprio la Juventus, sotto tre a uno contro una Roma che, leggerezza a parte sul gol del momentaneo pareggio bianconero, era stata una macchina da guerra che entusiasmava i tifosi, che si riappropriavano parzialmente dagli spalti secondo decreto governativo. Da tre a uno a tre a quattro, il bignami dell'incubo, una fragilità mentale inammissibile.
A fine gara Mourinho traccia il solco. "Questi calciatori da troppo tempo vivono nella comfort zone di piazzamenti mediocri. Da adesso sono loro a dovere venire incontro a me e non io incontro a loro". Detto, fatto. Non senza difficoltà. Perché la Roma che nelle successive dieci partite di campionato ha battuto con enorme merito Empoli, Atalanta e Lazio, superando poi di misura Cagliari, Spezia e Sampdoria, ha rischiato seriamente la ricaduta contro avversari abbordabili, pareggiandone tre di fila con Genoa, Sassuolo e Verona, e sfiorando la sconfitta a Udine. Ma in nessun caso c'è stato il crollo.
Perché nel frattempo il muro della solidità mentale è stato tirato su di pari passo a quello della solidità difensiva. Fare gol alla Roma è complicato. La squadra accetta di soffrire e non si fa imporre gioco e pressione. Spesso si abbassa volutamente per poi prendere di infilata gli avversari. Nessuna celebrazione, sia chiaro. Lo scudetto non è mai stato alla portata, la zona Champions, auspicata dai più fiduciosi, è distante cinque punti, quelli che ha in più proprio la Juventus, che può bearsi, neanche troppo, di avere avuto la meglio negli scontri diretti.
L'andata fu totalmente indirizzata dagli obbrobri di Orsato e compagnia, il ritorno da una Roma scellerata. Inutile pensare a cosa sarebbe potuto accadere se i giallorossi avessero retto dieci minuti in più quel nove gennaio. Meglio pensare, per indorare la pillola, che quel giorno verrà ricordato come una data spartiacque.
Nel frattempo Abraham fa notizia quando non segna, Mkhitaryan è tornato a essere il giocatore più forte della rosa, Zalewski si è imposto all'attenzione di Mourinho che lo ha imposto con merito sulla fascia sinistra. La Roma ha mostrato un'identità arricchita da perle di gioco, sublimato nel primo tempo di Empoli, nel tiro al bersaglio di La Spezia, nelle prestazione magistrale con l'Atalanta, nel devastante derby e nell'azione da manuale conclusa con il gol di Mkhitaryan a Genova. Quinto posto a prova di recupero dell'Atalanta, e pure un cammino europeo che ora si fa davvero gustoso.
Si chiedeva di non staccare la spina. La Roma l'ha tenuta attaccata e ha finalmente acceso la luce. I suoi tratti si notano subito, perché la squadra inizia a somigliare clamorosamente al suo allenatore.
In the box - @augustociardi75