LR24 (AUGUSTO CIARDI) - Migliorare è d'obbligo. È la prima regola di chi vince, di chi sa vincere, di chi ha vinto e magari sta provando a impostare un discorso finalizzato alla vittoria. Ma sì, parliamo di Mourinho. Premettendo che varrebbe per Guardiola, Klopp, Ancelotti, soltanto per citare i più grandi del pianeta. Già, perché ora a leggere in giro sembrerebbe che questa Roma avrebbe fatto meglio a scegliere Juric o Italiano o, perché no, Giampaolo. Chissà perché non ci abbiano pensato a Monaco di Baviera o a Manchester o a Madrid. Come se poi fosse facile imporre un emergente.
Nella città che rimpiange Spalletti, in pochi ricordano il modo vergognoso con cui fu accolto arrivando da Udine, quando si organizzavano sit-in per chiedergli di tornarsene a Udine. Perché Roma è la città che si vanta delle origini, dell'impero, dimenticando che all'epoca la grandezza di Roma consisteva nel sapersi fare contaminare da ciò che conquistava. Invece Roma oggi è la città che ha paura del diverso. Che se viene qualcuno che forse può, chissà, arricchirla, prova a sputarlo via come un corpo estraneo. Arrivando a rimpiangere ciò che ha contribuito magari alla sua mediocrità. Non dando tempo di attecchire perché il diverso spaventa, fa perdere certezze decennali, abitudini.
E allora fioccano i tre in pagella. E allora laddove fino a due mesi fa uscivano libri, oggi si mette in discussione l'intelligenza di chi nel libro è stato celebrato. Mourinho a Roma ha già aggiunto un trofeo. In due mesi viene già spacciato per coglione. Trofeo al record della velocità. Forse è secondo soltanto a Luis Enrique, ricordate? Un altro vincente, forse arrivato troppo presto, ma trattato come una pezza da piedi, di cui sono state scritte e dette nefandezze. Peccato che Mourinho, come tutti i vincenti, sappia per primo quanto la Roma debba migliorare perché, pensate un po', se la Roma da lui allenata finirà male, lui dovrà registrare un fallimento nel film della sua carriera.
Parla di arbitri, sì, a volte eccedendo, come dopo la partita col Bodo. Ma parla anche di calcio, come prima della partita col Bodo, quando gli è stato legittimamente chiesto del perché della scelta di Felix. Cosa ci sarebbe di così diverso da quello che Mourinho è stato, e che è stato invocato dal quattro maggio fino a poche settimane fa? Sono state consumate serie TV sul portoghese nei giorni antecedenti il suo arrivo nella capitale. Non ci si eccitava per il suo modo di comunicare? Non ci si arrapava quando i social e i notiziari in tv mostravano le mourinhate ai tempi dell'Inter? Quando parlava di prostituzione intellettuale o quando lasciava il campo facendo il gesto delle manette? Ci si aspettava conferenze stampa modello Coverciano? Allora bisognava anticipare lo Shakhtar e ingaggiare De Zerbi. Si auspicava pacatezza? Orsù, si liquidi il portoghese per andare a bussare alla porta di Giampaolo.
La Roma sta giocando male. Vero, delle ultime partite si salva quella col Napoli, per la tenuta quella con la Juventus e per la reazione quella col Cagliari. Ma c'era realmente qualcuno che pensava che la Roma avrebbe giocato in modalità Zeman? Ammesso che quel tipo di calcio sia il bel gioco da inseguire? Magari si mugugnerà pure domenica a Venezia, ma la Roma che in questo momento latita dalla trequarti in su come se andasse in cortocircuito, ha problemi di connessione e di rifinitura e di fase difensiva perché a targhe alterne vive un momento di involuzione tecnica che genera apprensione. Che unite ad aspetti tattici da migliorare, mandano in tilt il sistema di gioco. La sceneggiatura c'è. Il regista pure, molti interpreti sono emergenti, e ora il regista deve aiutare ancora di più gli attori per rendere impeccabile la recitazione.
Perché, udite udite, anche Mourinho sa che tutto è migliorabile. Perché i vincenti sanno di essere tali grazie ai miglioramenti. E pure quando non lo ammettono provano a farlo. Altrettanto sanno di non essere immuni alle critiche. Non c'è un plebiscito per Mourinho, c'è stato e c'è del sano entusiasmo fra i tifosi. Di cosa dovrebbero essere rimproverati? C'era entusiasmo quando arrivò Falcao, quando fu acquistato Batistuta, per il quarto di secolo del Totti calciatore. I grandi generano entusiasmo, soprattutto in piazze dove la vittoria è una chimera. Se passiamo al setaccio i mass media, la chimera è proprio il plebiscito. Perché nelle ultime settantadue ore Mourinho è stato spacciato per Carlos Bianchi, si è beccato un tre in pagella, gli è stato elegantemente dato del poco intelligente ed è stato su un social considerato un perdente in cerca di alibi. Un perdente in cerca di alibi. Mourinho. L'aria che tira è questa. Sicuramente anche perché la Roma sta vivendo un down da azzerare in fretta, e sta oggettivamente incontrando difficoltà. Ma anche perché il "diverso" è sempre atteso al varco. Il diverso ne è consapevole.
Alla fine contano i risultati più dei mugugni. Quindi non ci si sottrae dalle critiche quando dal modesto Bodo si incassano otto gol in due partite. Diventano sacrosante, le critiche, anche quando con l'allenatore non si innesca il contraddittorio. La storia è piena di allenatori che hanno provato a spostare l'attenzione. Qua a Roma qualche anno fa, per esempio, era sempre colpa dei giocatori che non capivano un certo tipo di calcio. Capello se la prendeva pure con l'erba alta. Tutto il mondo è paese. Sarri tira giù i calendari non in quanto bestemmiatore seriale, ma perché odia e contesta da anni le date delle partite delle sue squadre. Conte se la prende col club perché vorrebbe che gli comprassero cinque campioni a settimana.
Alla fine contano i risultati. La Roma continua a essere quarta in campionato e in corsa in Conference League nonostante la figuraccia coi norvegesi. E pagherà probabilmente giusto dazio sottoforma di un turno in più da giocare. I risultati, se arriveranno, metteranno il silenziatore ai mugugni. E alle solenni e solerti stroncature in punta di penna.
In the box - @augustociardi