LR24 (AUGUSTO CIARDI) - Come complicarsi la vita. Se la Roma nel bel mezzo del girone di ritorno non avesse staccato la spina, la prestigiosa semifinale di Europa League, da giocarsi contro una squadra oggettivamente più forte, ricca, completa ed esperta, sarebbe stata considerata un bene di lusso conquistato dopo un meraviglioso meritevole e impeccabile cammino nella competizione. Un extra di lusso. Una Roma a distanza decorosa dal quarto posto, e semifinalista europea, avrebbe meritato le lodi e avrebbe fatto vivere l'evento nel modo migliore. Vada come vada con lo United, nessuno avrebbe avuto la possibilità di muovere un appunto a una stagione simile. La via crucis che ha toccato le tappe di Benevento, Parma, Torino e Cagliari, ha invece in parte inacidito il gusto dell'attesa.
Nessuno pretende che la Roma cacci gli inglesi dalla coppa che vinsero quattro anni fa, ma ciò che era oggettivamente uno splendido surplus diventa oggi l'ago della bilancia di una stagione che in Coppa Italia ha visto la Roma mettere in scena una commedia di quarto livello, e che in campionato registra un suicidio ingiustificato. Che la squadra di Fonseca non fosse favorita per tornare in Champions League era più o meno un dato di fatto. Che a fine febbraio staccasse la spina regalando punti, gol e azzerasse il decoro sportivo è una macchia. Questione di intelligenza sportiva.
Nessuno si diverte a perdere, sia chiaro. Ma la Roma che precipita verso l'ottavo posto non si spiega soltanto con gli infortuni. Trova alloggio nell'impreparazione mentale di chi, calciatori, allenatore e dirigenti, invece di sfruttare e far fruttare la semifinale di coppa come un vanto distintivo da sventolare, l'ha resa col passare delle settimane una sfida carica di pressione. Che non ci sarebbe stata se in campionato la squadra avesse continuato a fare ciò che era nelle sue corde. Vincere la maggior parte delle sfide alla sua portata, e provare a chiudere in modo onorevole i big match.
Nessuno si aspettava scalate dell'Everest. Ma nessuno si aspettava ruzzoloni causati dai sassolini. Ciò testimonia semmai ce ne fosse bisogno che la Roma, nonostante recenti e attuali imprese nelle coppe (due semifinali europee in quattro stagioni) per tenuta mentale e abitudine a giocare a certi livelli sia distante ancora anni luce dallo status di squadra di caratura internazionale. Perché una semifinale non dovrebbe mai incidere sulla stagione come un macigno. Ma semmai mettere le ali, alleggerire la pressione, essere una leva. Le prestazioni di Parma, Torino e Benevento non si possono giustificare con l'imminente impegno prestigioso oltre confine.
L'impegno prestigioso resta. Nessuno potrà mai togliere alla Roma di Fonseca e di Friedkin il merito di essere andati oltre i limiti in Europa League. A disturbare è la macchia che si allarga nelle valutazioni di un campionato a cui nessuno oltretutto chiedeva chissà cosa. Se non un pizzico di intelligenza sportiva in più. Quel savoir faire che nel calcio come nella vita ti mette al riparo da critiche anche quando sei pienamente consapevole di avere dei limiti. La Roma in Europa League sta confezionato un piccolo (grande) capolavoro. Era proprio impossibile chiudere il campionato in modo decoroso?
In the box - @augustociardi