LR24 (AUGUSTO CIARDI) - Le parole se le porta via il vento e allora Paulo Fonseca non le spreca, le dosa, ascoltando con attenzione le domande in italiano, come fosse per lui una lezione di lingue, affidandosi per la traduzione delle frasi che non capisce all’interprete poliglotta oramai bandiera della Roma. Poi risponde in portoghese, con quel tono tipico del portoghese, meno melodioso e più serioso del derivato brasiliano. Non regala titoli Paulo Fonseca, auspica che i titoli possa contribuire a regalarli alla Roma, da contratto ha due anni più un eventuale terzo a disposizione. Salvo complicazioni. Si presenta in sala conferenze e ti vengono in mente gli attori hollywoodiani anni cinquanta, col ciuffo tormentato dalle mani, alla Robert Mitchum, alla Montgomery Clift, alla Dean Martin. Elegante, sobrio, pensante. Non parla di calciatori che non sono (ancora) della Roma. Non gli interessa riempire le nove colonne delle prime pagine, dichiara più volte che a parlare dovrà essere il campo. In epoca di logorroici egocentrici, non ostenta religioni pallonare, non ambisce al ruolo di maestro o professore, non intende diventare oggetto di culto, se gli si chiede come sarà la sua Roma, risponde che non sarà la sua Roma ma la Roma di tutti. Mosca bianca in un calcio in cui tutti, dagli allenatori ai calciatori fino ai commentatori, si sentono più importanti del club di appartenenza o della partita che stanno commentando. Sa che conta subire pochi gol, conosce la strada giusta, perché la Roma ci ha rimesso l’osso del collo a forza di non avere equilibrio, a furia di seguire uno spartito che non prevedeva l’imponderabile o più semplicemente che non teneva in debita considerazione l’avversario.
Che lui vuole studiare, per attuare le care vecchie contromosse. Eleganza e sobrietà. Uno stile raro. Che speriamo spazzi via l’ondata maleodorante della coglionella, che sarà pure caratteristica tipicamente romana, ma che dopo tre minuti diventa stupido dileggio e mancanza di rispetto, alla faccia di chi pensava o auspicava che dopo il costume di Zorro avrebbe ostentato alla presentazione la maschera di Brighella. Il tempo dirà se la Roma ha trovato l’allenatore giusto. Il primo giorno ha mostrato un professionista serio, un allenatore capace che ora deve misurarsi in un campionato difficile con una squadra che sta vivendo un momento complicatissimo. Viene dall’Ucraina, dove ha vinto. Facile, dirà qualcuno, vincere in Ucraina. Ok, passi, ma allenando lo Shakhtar, cosa doveva vincere? La Premier League inglese? Ora ha una grande opportunità. Verrà passata al setaccio ogni sua azione, ogni sua mossa, ogni sua smorfia. Sembra preparato a vivere sotto la lente di ingrandimento che da ieri ha iniziato a conoscere. Il resto lo dirà il campo. Concetto che ha evidenziato a più riprese. Il migliore augurio è di entrare in simbiosi con la squadra per battere anche quello sciocco pregiudizio che porta molti a convincersi che sia sempre meglio affidarsi ad allenatori italiani. Lui invece viene dal Portogallo, si è mostrato in Ucraina, ma sembra uscito da un film americano con Liz Taylor.
In the box - @augustociardi