Non solo gossip. Se con Marco Borriello è il mondo dei reality ad essere entrato nel calcio, e non viceversa, non di meno c'è qualcosa di molto semplice a far da filo conduttore della sua storia di alti e bassi in azzurro: la rincorsa al primo gol. Dieci convocazioni e cinque presenze, domani per la prima volta toccherà a lui essere il centravanti della nazionale in una partita ufficiale, ora che nei gorghi della crisi romanista emerge come il centravanti più in forma del momento, superando Pazzini come partner di Cassano.
«Parliamone dopo, magari dopo un gol: io ci spero...», il dribbling della vigilia di questa Irlanda del Nord-Italia. A dire il vero, non è nemmeno il pezzo pregiato del suo repertorio. Che accanto alla passione per la moda e le belle ragazze, Belen in testa, prevede l'appuntamento con la rete: di testa, di sinistro, in acrobazia, purchè sia gol. Ne servirono 19 con la maglia del Genoa, due anni fa, per convincere Roberto Donadoni a chiamarlo in nazionale. La prima volta fu il 6 febbraio del 2008, poi in Austria e Svizzera finì che il ct lo lasciò sempre in panchina per una nazionale povera di spunti: perchè, non si è mai capito. Ci ha messo del suo a complicarsi la vita calcistica, il ragazzo cresciuto a pane e pallone per le strade di San Giovanni a Teduccio, «non una Disneyland ma neanche un Far West, e comunque una lezione di vita», come ebbe a dire un giorno.
Centocinquatesse minuti di azzurro in tutto, solo spezzoni di partita (una sola volta dall'inizio, quest'estate in amichevole col Camerun, un tempo e poi via nello spogliatoio) e mai una rete. Altra delusione, dopo quella di Euro 2008 e dell'esclusione di Lippi dal gruppo dei 23 per il Mondiale 2010, lui che la preparazione al Sestriere se l'era fatta con gli altri quattro poi 'tagliatì. Borriello l'ha mandata giù a fatica, come le tante polemiche che ne accompagnavano parallele la carriera calcistica. Su tutte, la famosa intervista a GQ in cui accusava Saviano di aver lucrato sulla camorra, rivelando l'omicidio di suo padre («incidente», lo chiamò). «Mi scuso per la veemenza, mi sono lasciato trascinare», si affrettò a chiarire con la stessa sincerità di sempre. Come quando confessò di avere un debole per le scarpe Laboutin e di apprezzare di più i complimenti degli uomini (Corsera), di aver avuto il sospetto di giocatori gay o bisex (GQ) o di voler controllare nello spogliatoio se Beckham era davvero quel che sembrava in mutande Armani (Vanity Fair). Nulla di sorprendente, dunque, se lo hanno ribattezzato il 'bellò del gol. Perchè per il gol confessa di vivere. E per quello ha preferito lasciare il Milan di Ibra per la Roma di Totti. «Sentivo che il gol stava per arrivare», ha detto domenica scorsa dopo la sostituzione di Napoli, lanciando frecciate a Ranieri. In fondo, nel calcio le chiacchiere stanno a zero, e conta solo quello.
(ansa)