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Il re del mercato ora fa il manager

23/06/2009 alle 17:13.

Gli ultimi quarantaquattro la Premia­ta Università di Coverciano li ha in­seriti nell’albo professionale curato con specifiche attenzioni dalla Federazio­ne, lo scorso venti aprile. Nel gruppo Stefano Antonelli (un vero «secchione»: 110 e lode), Igli Tare e Michelangelo Rampulla.

Vivevano nell’ombra, all’epoca, guar­dati con sospetto dagli allenatori che si vedevano costretti a cedere un po’ del loro potere a personaggi che oggettiva­mente rischiavano molto meno visto che poi, dopo tre sconfitte, il presiden­te « cacciava » il tecnico non il ds. Da questo punto di vista, come dimostra il Torino di Urbano Cairo, la situazione si è molto democratizzata: lui, il presiden­te granata, caccia tutti, non solo gli al­lenatori. La fase della dorata clandesti­nità è finita da un bel po’, precisamen­te dall’ 8 giugno 1991 quando Antonio Matarrese, presidente federale, decise che non si poteva continuare a tenere gli occhi chiusi su un fenomeno calci­stico, professionale e sociale che co­minciava ad affondare le radici nella notte dei tempi (se è vero come è vero che il «padre» di questa silenziosa rivo­luzione è stato Italo Allodi).

Il mestiere oggi è cambiato e forse non è sufficiente il dettato dell’articolo uno del regolamento a definirne i con­fini:

«E’ direttore sportivo la persona fi­sica che svolge per conto delle società sportive professionistiche attività con­cernenti l’assetto organizzativo e/o am­ministrativo, ivi compresa espressa­mente la gestione dei rapporti anche contrattuali fra società, calciatori o tec­nici e la conduzione di trattative con altre società sportive aventi ad oggetto il trasferimento di calciatori e/ o stipu­lazione delle cessioni dei contratti » . In principio c’erano i « re del mercato » che, semmai, affidavano ai figli o ai pa­renti più prossimi il ruolo di procurato­ri in maniera tale da chiu­dere il cerchio della con­trattazione e di trasfor­mare la domanda e l’of­ferta in una questione prettamente familiare con tutte le distorsioni messe in evidenza da Cal­ciopoli e dal Processo Gea.

Adesso il direttore sportivo tende a essere un vero manager, anche dal punto di vista della qualifica indicata sulla targhetta della porta del suo stu­dio. Giuseppe Marotta alla Samp, Ri­naldo Sagramola a Palermo e Pietro Lo Monaco a Catania sono amministratori delegati; Pierpaolo Marino a , Pietro Leonardi a Parma, Sergio Ga­sparin a Udine e Roberto Zanzi a Siena sono direttori generali. Complessiva­mente le quarantadue società di A e B occupano poco meno di ottanta diretto­ri sportivi, a vario titolo e qualifiche. Insomma, quasi seicento abilitati a ge­stire questioni tecniche e organizzative non sono pochi ma il «mercato» c’è e va alimentato.


Non è un caso che una delle battaglie dell’Adise riguardi proprio la periodici­tà del famoso Corso. L’ul­timo, quello dei quaranta­quattro neo-ds, si è svolto all’inizio dell’anno: no­vantasei ore complessive, spalmate su sei settimane a cominciare dallo scorso 19 febbraio. Severa la se­lezione in entrata. Perché, sia chiaro: se un marziano cadesse a via Veneto, non potrebbe nel giro di una nottata abbracciare la pro­fessione. Direttore sportivo può diven­tare solo chi nel calcio è da tempo. In­fatti, l’ammissione al corso si basa su punteggi: 5 punti per un calciatore di A, quattro per uno di B, 3 per uno di C1 (nel bando non si sono uniformati alla rivoluzione lessicale di Mario Macalli), 2 per uno di C2, 1 per uno di D, mezzo per uno proveniente dai campionati di­lettantistici; e ancora: 5 per aver colla­borato con il « ds titolare » di A, 4 per una collaborazione in B, 3 per una in C1, 2 per una in C2. Infine i titoli di stu­dio: laurea specialistica in materie sportive, 10 punti; laurea « semplice » , cinque; scuola media superiore, tre; master da uno a tre punti. Il corso ov­viamente non è gratis (l’iscrizione è di 2.500 euro, più i viaggi, il vitto, l’alloggio).

Per ora, questi appunta­menti sono un po’ saltua­ri. L’Adise, infatti, vor­rebbe dare al corso una cadenza fissa annuale. Così come vorrebbe isti­tuire (con il consenso del presidente della Lnd, Carlo Tavecchio), una sorta di patenti­no di «terza categoria» anche per i ds: i corsi si volgerebbero in sedi regiona­li e quei professionisti potrebbero ope­rare soltanto a livello dilettantistico. E, d’altro canto, se Maometto non va alla montagna, sarà sempre la montagna ad andare da Maometto.