Post Match - Buon vento

23/01/2024 alle 10:48.
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LAROMA24.IT (MIRKO BUSSI) - La seconda carriera di alla Roma forse non è arrivata "quando lo meriterò", come lui stesso si era auspicato in un'intervista qualche anno fa, ma c'è abbastanza bibliografia passata per credere che proverà "fino alla morte" a meritarla, come ha detto alla prima conferenza stampa. Al di là del mare grosso di sentimenti che inondavano l'Olimpico sabato scorso, restano sul bagnasciuga i primi cenni di come intenda farlo.

Quattro giorni utili a fissare i principi fondamentali: un'ambiziosa costruzione dal basso che non sia vezzo ma strumento per detonare la struttura avversaria, abolizione del sistema di pressioni a uomo che era in vigore fino a poco fa per un più democratico blocco medio in cui le incombenze si calcolano per ruolo e grado.

Così in possesso la Roma si svestiva del , o 2-1 se preferite, che gli è stato appiccicato per sintesi, andandosi a comporre in un 3+2 di costruzione, nel quale Spinazzola, e poi Kristensen, stringevano al lato di Llorente ed Huijsen, con e Bove come vertici della costruzione. Un riferimento neanche troppo velato al "tre e mezzo" di . Questo consentiva di spingere in alto Karsdorp, lasciando a Dybala la possibilità di adagiarsi nel mezzo spazio preferito, quello di destra, con Pellegrini ed a completare la schiera di giocatori, alle spalle di Lukaku, pronti a saltare nei varchi che si aprivano davanti a loro.

Un meccanismo che però mostrava già forme di vita differenti, con che poteva assecondare il proprio desiderio di dirigere le operazioni abbassando la propria posizione tra i 3. Toccherà 89 palloni alla fine il numero 16, più di tutti. Alcuni incastonato tra Llorente e Huijsen, come in una citazione di Luis Enrique e della salida lavolpiana celebre nei libri di calcio alla catalana, altri alla loro sinistra, offrendo a Spinazzola/Kristensen il biglietto per l'ampiezza, con che poteva a quel punto affiancarsi a Lukaku per beccare sulla profondità centrale.

Per un tempo sembrava di poter chiudere gli occhi come si fa con l'inizio di una nuova stagione, sprigionando i desideri più perversi sull'andamento dell'annata. Arriverà il secondo, poi, come una mano scortese sulla spalla che ti butta giù dal sogno per lavarti il viso con la realtà. A cominciare da Llorente e Huijsen, stimolati all'idea di poter avere una plancia di comando simile, al punto che chiuderanno la partita col record di palloni toccati personale in questa Serie A. 86 per il più piccolo, 88 per lo spagnolo, che tanti, ma non di più, ne aveva sommati già in 3 occasioni (contro , e Salernitana).

Un turbinio di luci e suoni che si accende anche nel 2-0, con il corso centrale sovraffollato ma comunque percorso dalla Roma, consapevole che è lì che può arrivare dritta al nucleo avversario. E allora da Huijsen per Dybala, un passaggio che pare accessorio ma che in realtà è elemento scatenante. Perché stuzzica la pressione avversaria, la provoca, come farà Dawidowicz proprio facendosi attirare dal 21. È il segnale che accende il terzo uomo, Lukaku, materializzatosi proprio lì dietro e raggiunto chirurgicamente da Huijsen. Il resto è brutale assalto all'area avversaria. Ma quel che lo rende possibile non va confuso con la pratica circense o una forma di edonismo calcistico. È, piuttosto, come l'alimentazione per un organismo. Scadendo quella, scadrà la salute generale. Quando quella fluidità, ed efficacia, di costruzione perderà vigore, come nel secondo tempo, verranno giù pezzi dell'impalcatura, la squadra faticherà a risalire il campo, sarà più bassa e dovrà scacciare il nemico alle porte per conseguenza.

Senza palla, invece, la Roma secondo ha scelto di abbassare il volume delle pressioni, almeno per ora. E, soprattutto, di non orientarle più sull'uomo come invece era stato istituito in precedenza. Quando il pallone rotolava per le parti più basse del Verona, infatti, la Roma era facilmente ricalcabile in un blocco medio a forma di 4-1-4-1, con Lukaku che tentava di dividere il campo, impedendo che la squadra di Baroni potesse girare a piacimento. L'innesco (i "trigger", nel gergo britannico) di pressioni più aggressive erano rappresentate da giocate al centrale di destra, Magnani, che veniva assaltato improvvisamente da in un paio di situazioni che comunque non hanno prodotto pescate fortunate per i giallorossi.

Una scelta che ha dato alla Roma un baricentro medio più basso rispetto alla media di molte gare stagionali: per fare un paragone, nell'ultima gara in casa, contro l'Atalanta, era risultato di 52,28 metri rispetto ai 40,59 di sabato. Ma che le ha permesso di mantenere una lunghezza quasi intatta tra i due tempi (26,02 metri nei primi 45' col Verona, 26,97 nella ripresa), aspetto che invece si faticava a mantenere coerente nel passato. Tra le pieghe di questo sistema di pressioni c'è incastrato il primo equivoco venuto a galla sabato: quanto Dybala potrà sostenere, e con quali aspettative collettive, compiti simili. Perché, equiparato al ruolo di esterno, in non possesso si è ritrovato più volte a seguire le avanzate di Cabal, finendo addirittura per schiacciarsi sulla linea difensiva in un paio di occasioni e a dover contendere cambi gioco con inverosimili duelli aerei. Ma il viaggio è appena iniziato. Buon vento.