Tempestilli: "Gasperini cambierà la Roma"

18/10/2025 alle 09:57.
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Tonino Tempestilli si è raccontato in una lunga intervista al quotidiano dedicato ai colori giallorossi. Ecco alcuni dei passaggi delle dichiarazioni rilasciate alla vigilia di Roma-Inter.

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Come sei arrivato a Roma?
«A Como avevo fatto bene, cinque stagioni con una promozione e due salvezze tranquille in serie A. Mi seguivano in tanti, ad esempio Napoli e Juventus, ma quando si è fatta sotto la Roma non ci ho pensato un minuto.  Per coronare il mio sogno ho rinunciato ad ingaggi migliori senza nessun rimpianto: alla fine sono rimasto in giallorosso per 33 anni».

Il primo anno chiudeste terzi, poi non avete più fatto così bene in campionato.
«Sì, è vero, ma non eravamo una grande squadra. Sono stati anni un po’ strani, l’emozionante stagione del Flaminio con Radice aveva creato un’alchimia unica tra di noi, ma per vincere serviva qualcosa in più anche se avevamo dei campioni come Voeller, Bruno Conti e Giannini. Ma con Ottavio Bianchi ci siamo presi delle grandi soddisfazioni nelle Coppe».

Vinceste la Coppa Italia, ma immagino che quel successo non abbia cancellato il rimpianto per l’Uefa.
«Beh no, quella doppia finale con l’Inter la giocammo alla pari, anzi: all’Olimpico avremmo meritato di arrivare come minimo ai supplementari. Purtroppo, fu decisivo l’arbitraggio di Spirin a San Siro. L’anno dopo andammo a Mosca a giocare contro il CSKA in Coppa delle Coppe, eravamo nella hall dell’albergo quando a un certo punto arrivò Mascetti con un signore e un bambino: era lui, Spirin. No, non lo abbiamo insultato tanto non avrebbe capito niente e poi stava con il figlio. È finita con autografi e fotografie».

I tuoi allenatori a Roma sono stati Liedholm, Radice, Ottavio Bianchi e Boskov: sei andato d’accordo con tutti?
«Direi di sì. Il Barone era un fenomeno e mi aveva voluto a Roma; di Radice ti ho già detto, Bianchi lo avevo avuto anche a Como e non era burbero come sembrava. Boskov mi ha fatto giocare poco ma ho rispettato le sue decisioni. Ho sempre e solo pensato ad allenarmi bene e a dare tutto, che scendessi in campo o andassi in panchina. Poi si è ammalato mio figlio di tumore e per curarlo sono stato un anno a Parigi. Non avevo più la testa per fare il calciatore così, nonostante il presidente Sensi mi volesse rinnovare il contratto di un anno, chiesi di fare altro. Volevo stare sul campo ed è arrivata l’opportunità di allenare i Giovanissimi. La mattina ero in sede a studiare i regolamenti con il mio grande amico Aldo Bernabei che purtroppo non sta bene e saluto con immenso affetto, il pomeriggio allenavo i ragazzi. Abbiamo vinto il campionato ma la cosa più bella è il rapporto che si è creato tra noi: erano tutti figli miei ed è così ancora oggi, tanto che continuiamo a sentirci e vederci spesso».

Poi Sensi ti chiese di diventare dirigente.
«Sì, avevo molti dubbi, volevo continuare ad allenare i ragazzi. Ma il presidente mi disse che Fernando Fabbri cominciava ad avere bisogno di una mano e voleva che la cosa fosse affidata ad una persona di sua totale fiducia. Così prima l’ho affiancato, poi sostituito».

 

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La Roma di Pallotta a tratti è stata fortissima: perché non ha vinto nulla?
«Domanda difficile alla quale rispondere, non credo ci sia un motivo unico o specifico. È vero, ci sono state stagioni in cui eravamo uno squadrone, ma c’è da dire che per lo scudetto abbiamo trovato sulla strada una Juventus eccezionale. Potevamo conquistare qualche trofeo di contorno ma credo ci sia mancata la mentalità giusta per entrare in campo con la stessa voglia di vincere che l’avversario fosse il Manchester in Champions o lo Spezia in Coppa Italia. Peccato».

Vuoi dire qualcosa in più sui motivi che ti hanno spinto ad andare via?
«Guarda, io alla Roma ho dato più che alla mia famiglia, 33 anni sono una vita intera. A un certo punto Guido Fienga mi comunicò che avrei dovuto fare da vice ad una persona che non aveva né la mia storia, né la mia esperienza. Non avendo addebiti di alcun tipo di cui dovermi giustificare, l’ho considerata una profonda ingiustizia e non l’ho accettata. Se mi chiedi se la ferita si è rimarginata ti rispondo di no: fa ancora male anche perché dentro Trigoria sono rimaste persone che non se lo meritano. Se ci fossi stato ancora io, ti assicuro che non sarebbe mai accaduto di sbagliare una lista Uefa o fare sei sostituzioni un una partita».

Però sei abbonato e vai addirittura in trasferta e non solo in Italia.
«Con gioia ed orgoglio, la Roma ce l’ho dentro e continua a far parte della mia vita anche se ora finalmente al primo posto c’è la famiglia. Sono stato a Nizza per l’esordio di Europa League, gran bella partita, la stagione è partita bene».

Gasperini cambierà la Roma o viceversa?
«Nessun dubbio: Gasperini cambierà la Roma. Sono anni che fa cose eccezionali, il suo calcio è un marchio di fabbrica e lo farà vedere anche qui, è solo questione di tempo. Intanto stanno arrivando i risultati e con i risultati si lavora molto meglio».

Dove può arrivare realisticamente?
«Sono in cinque per i quattro posti che valgono la Champions. Secondo me Inter a Napoli a parte, ma bisogna sempre far parlare il campo, con le altre se la può giocare».

Dovbyk o Ferguson?
«Serviranno e faranno bene entrambi. La prima stagione di Dovbyk non è stata male, molti dei gol che ha segnato sono stati importanti o decisivi e la concorrenza può aiutarlo a fare di più. Ferguson due anni fa era uno dei migliori prospetti europei, poi si è infortunato e ha giocato poco. Ma ha fisico e per quello che ho visto anche buona tecnica; gli attaccanti con Gasperini sono sempre migliorati e hanno fatto tanti gol, li faranno anche loro».

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(ilromanista.eu)

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