I soldi e il senso di Friedkin per la Roma

01/09/2025 alle 10:35.
friedkin-3

No tengo dinero, cantavano i Righeira, band sempre attuale nei giorni di fine estate. Follow the money, suggerisce Gola Profonda a Robert Redford (Bob Woodward) in "Tutti gli uomini del Presidente" (chissà se i nostri eroi lo hanno mai visto, in caso contrario colmare la lacuna, potrebbe aiutarli a comprendere, e sopportare, chi si ostina a fare del giornalismo). E in effetti è proprio quello che sta facendo, seguire il denaro, quello degli altri, il signor Friedkin.

Venditore d'auto giapponesi negli Stati Uniti (un po' come piazzare la grattachecca in Siberia), produttore cinematografico da premio Oscar, albergatore (resort a cinque stelle,
of course), golfista, pilota di aerei a bordo dei quali è solito portare amici, personalità e calciatori (roba da far impallidire i celebri elicotteri di Berlusconi), riservato a tal punto da sfiorare la misantropia, un uccello di bosco per cui non vale quel famoso detto che a Roma si usa tanto, chi non muore si rivede.

E insomma, questo Barone (giallo)rosso, cinque anni fa ha deciso di acquistare il club che in quasi cento anni di storia non troppo gloriosa ma certamente appassionata, ne ha visti (presidenti) di tutti i colori, dai gerarchi fascisti ai palazzinari comunisti, dai signori dell'industria bellica (Viola faceva i cingoli dei carrarmati, la vulgata di allora) ai re delle acque minerali, tutto sempre con retrogusto democristiano, fino al re dello stoccaggio petrolifero, il mitico Sensi che per la Roma si indebitò (falso storico), la figlia Rosella che infine si arrese e cedette (più che altro, regalò) a UniCredit, la prestigiosa banca che tutti i romanisti sentitamente ancora ringraziano per aver portato gli americani a Roma (ci meritiamo Alberto Sordi, direbbe Nanni Moretti) e averli convinti che si poteva costruire uno stadio a Tor di Valle (sull'ansa del Tevere) e che doveva tirarlo su proprio il costruttore da cui avanzava, sempre la stessa banca, circa quattrocento milioni di euro (poi si è visto come è andata a finire).

Ecco, siccome tutto torna, soprattutto da queste parti, dove poco importa che la storia, quando si ripete, diventa farsa, pure questo americano, che ha ereditato dal connazionale James Pallotta (per tacere di Thomas DiBenedetto e James Tacopina) una società piena di debiti (buffi, si dice qui), ma che almeno qualche soddisfazione sportiva se la toglieva, ci ha buttato dentro un miliardo di euro contato male, portando a casa la bellezza di una Conference League (spacciata come un Mondiale, poi ne abbiamo constatato l'autentico valore) e senza mai partecipare alla Champions, si è incagliato nel progetto stadio.

Da Tor di Valle a Pietralata, sono trascorsi tredici anni (sic), sono cambiati governi e amministrazioni comunali, più o meno favorevoli - ora il sindaco Gualtieri se potesse si infilerebbe l'elmetto (è abituato) e andrebbe a costruirlo lui - e, come abbiamo visto, proprietari. Non sono cambiate due condizioni, purtroppo per i romanisti: la presunzione degli americani di gestire la cosa più romana che ci sia - costruire - a distanza e con logiche made in Usa; la necessità di raccattare soldi a destra e a manca per coprire i costi di un progetto che, oggi come allora, ha assunto via via i contorni di un'opera faraonica (tra le ultime proposte dei proprietari, rivedere tutte le scale delle tribune con un aggravio di circa tre milioni di euro).

Risultato: mentre i Friedkin incontrano banche d'affari che si offrono di sostenere l'operazione, quando sarà definitivamente approvata, non c'è nessuno nella Capitale che si occupi di gestire gli intoppi tipicamente romani che settimanalmente spuntano a mettere i bastoni tra le ruote, dal vecchio possessore di auto ricambi in disuso da anni agli ambientalisti che difendono un bosco che non c'è, fino agli ornitologi che nel mostro di cemento vedono un pericolo per i pipistrelli (non è una battuta). Questa combo micidiale ha spinto il progetto Pietralata nelle sabbie mobili: tutto fermo, e chissà ancora quanto bisognerà aspettare per avere il progetto definitivo. Inutile fare previsioni sulla posa della prima pietra, figuriamoci su quando ci si giocherà la prima partita. Potrebbe volerci un altro decennio.

Di sicuro, per altre tre stagioni, la Roma giocherà allo stadio Olimpico. E' di qualche giorno fa, infatti, la firma sul rinnovo della convenzione con Sport e Salute, proprietaria dell'impianto, che nel recente passato aveva prodotto più di un incidente istituzionale. Il club giallorosso festeggerà i suoi primi cento anni nel vecchio, caro e tanto scomodo teatro di mille battaglie, come riferiscono i giornali.

Sembrerebbe che Dan Friedkin, alla lettura dei titoli, ferito nell'orgoglio e nell'onore, sia andato su tutte le furie, individuando il responsabile nella signorina Bortoloni, alias Priscilla, la Lupacchiotta che brilla (copyright Dagospia), un tempo portata in palmo di mano, tanto da promuoverla da centralinista a capa del protocollo. Ora, solo l'ennesima testa tagliata per i capricci dell'imperatore (in questo sì che sono romani). Chi sarà la prossima?

Intanto, segnalano allenatore e direttore sportivo già ai ferri cortissimi. Come diceva Paolo Conti, portiere negli anni Settanta, la Roma è un fenomeno di autocombustione.

(Il Foglio - A. Catapano)