
Ogni volta che un genitore parla di un figlio o una figlia che non c'è più, o che sta combattendo una battaglia che la scienza ritiene ormai persa, c'è dentro di lui una domanda dalla quale non si può scappare: faccio bene a rendere tutto questo pubblico e alimentare così anche i «social del dolore»? Vale per Julio Sergio e il suo Enzo, per Luis Enrique e la sua Xana e, se lo permettete, per me e per Francesco. (...) Parlare del dolore più incomprensibile e contro natura è una scelta, non un attestato di superiorità. Può sensibilizzare su un problema - Julio Sergio lo ha fatto sull'oncologia pediatrica - e avere un valore anche sociale ma non restituisce mai neppure una briciola di quello che si è perduto. Al massimo trasforma per un attimo il vuoto che molto presto torna a bussare alla porta. (...)
(corsera - L. Valdiserri)