Riti, superstizioni e sfottò: così si vive il derby in cella

31/03/2024 alle 09:32.
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IL TEMPO - Vi siete mai chiesti come viene vissuto il derby Lazio-Roma nel carcere di Rebibbia? Proverò a raccontarvelo io visto che l'ho vissuto in prima persona. C'è da dire che la passione per il calcio non conosce barriere nemmeno quelle di un istituto penitenziario, e si fa viva più che mai quando si avvicina il derby della Capitale. Le due squadre il dieci gennaio si sono incontrare per una gara di Coppa Italia che ha visto vincitrice la squadra biancoceleste grazie al gol su rigore di Zaccagni. Prima di arrivare all'esito della partita voglio raccontarvi i giorni precedenti l'evento.

Premetto che mi trovo in una stanza composta da sei persone, me compreso, con un'età media dai venti ai trentacinque anni, fatta eccezione per il nostro "cellante" più attempato che ne ha cinquantaquattro, età che non gli corrisponde visto che il suo carisma e la simpatia lo fanno sembrare un nostro coetaneo. Il suo nome per tutti noi è "Zio Farina", laziale convinto. Poi c'è il nostro piccolo "Pippetto", laziale sfegatato che non si perderebbe una partita della Lazio per nulla al mondo, a seguire c'è "Er Mutanda" ultras della Lazio fin da minorenne, poi ci sono io il quarto laziale della nostra cella. Inutile raccontarvi gli sfottò prepartita tra le due tifoserie che si punzecchiavano, sicure entrambe di avere la vittoria in tasca. Io mi sentivo particolarmente fiducioso sulla vittoria della Lazio tanto da scommettere il mio turno di lavaggio dei piatti e pentole, mansione che spetta a turno a ogni componente della cella, salvo zio Nello il cuoco della cella che ha la mansione di cucinare sette giorni su sette per tutti noi.

Gruppetti nella sezione cantavano cori laziali a squarciagola dove la risposta dei romanisti non tardava a farsi sentire intonando altrettanti cori da stadio. Il giorno tanto atteso è arrivato la mattina del dieci gennaio. Er Mutanda ha esordito alle sette di mattina dicendo "a regà questa sera non se magna, alle sei ce sta il derby", frase che si è persa nel vuoto visto che abbiamo cenato regolarmente con le pizze. Alle 17 tutti avevamo già fatto la doccia e fieramente indossavamo le tute di rappresentanza della Lazio. Pippetto indossava una vecchia felpa degli "Irriducibili" storico gruppo della curva Nord che non passa mai di moda. Le regole erano semplici: nessun romanista poteva entrare nella nostra cella, i nostri rivali lo sapevano bene, tanto da tentare di entrare con qualsiasi scusa. Pippetto allora ha preso un telo, usato come copriletto, dalla branda del nostro compagno Mutanda con raffigurato lo stemma della Lazio e con lo scotch che ha ricavato dalle cassette dell'acqua Ferrarelle, ha attaccato, con il mio aiuto, il telo sull'esterno della nostra cella. Una volta appeso il telo contro il muro, i romanisti che erano nel corridoio hanno cominciato a dire sarcasticamente di staccarlo, cosa che è avvenuta solo al termine della partita.

Nel corridoio c'era solo "Biscottino" che con zero gradi indossava un completino estivo della Roma. Gli ho detto: "Vatti a coprire, non senti che freddo che fa?", mi ha risposto che aveva il cuore caldo per la Roma e che stava bene così. Non era l'unico a indossare tute e completi della Roma, tra questi c'era "Alessiotto" che con la sua voce inconfondibile lo si sentiva parlare da una sezione all'altra. Poi c'era "Boccione" il maestro della pasta all'uovo fatta in casa, c'era anche "Davidino" detto "Nemo" perché ha un braccio più corto dell'altro, e tanti altri amici lupacchiotti. Al fischio di inizio partita i corridoi delle sezioni erano desolati, tutti si trovavano nelle proprie stanze a fissare lo schermo della tv sintonizzata sul canale della Rai. Osservavo la cella di fronte alla mia dove commentavano la partita agitati e speranzosi di poter vincere il derby. Ho visto sfumare questa loro speranza al fischio del rigore a favore della Lazio: Zaccagni sul dischetto ha preso la rincorsa e con un tiro piazzato ha portato in vantaggio la nostra squadra.

Si potevano udire le urla di gioia da tutti i reparti con la battitura di oggetti sui "blindi" che causavano ancora più chiasso. Siamo usciti dalla cella e nel corridoio abbiamo esultato con tutta la nostra voce, Pippetto mi è saltato in braccio e ci siamo abbracciati forte. Ho visto "Alessiotto" rammaricato uscire dalla sua cella dicendomi: "Vado a chiama' l'avvocato che è meglio". Gli ho risposto: "Starà guardando la partita anche lui". Alessiotto non ha più parlato e ha continuato il suo cammino amareggiato verso la cabina telefonica. Dopo sono ripresi i cori che dalle celle sono rimbombati per tutta la sezione fino al fischio finale della partita. Un solo gol è bastato per vincere il tanto atteso derby e novanta minuti di partita per sentirci collegati con il mondo esterno, perché il calcio in quel momento è stato un veicolo di speranza per tutti noi reclusi, che ci ha fatto distrarre dalla dura realtà.

(Gabriele)