GASPORT - C’era la sua gente, i tifosi, gli amici, le istituzioni e anche qualche avversario. Tutti lì per tributargli l’ultimo saluto. E poi ex giocatori, tra cui Bruno Giordano, uno che martedì non era certo lì per caso alla chiesa San Paola Romana, alla Balduina. No, Bruno c’era perché lo legava un rapporto speciale con Giacomino Losi, che lui ha sempre chiamato affettuosamente Mino. Al di là del tifo, della passione, e dell’appartenenza. Stavolta Roma e Lazio non c’entrano. O forse anche sì, ma in modo diverso. Perché il calcio spesso sa anche unire, invece che dividere.
Che ricordo ha dell’uomo?
«Ho sempre frequentato casa sua, Giacomo mi è stato anche di grande aiuto in un momento particolare della mia vita, quello della squalifica. Lì non esistevano colori o maglie, ma solo l’uomo. Grande, immenso, anche se non nel fisico. Nonostante fosse il “Core de Roma” aveva una semplicità e un’umiltà disarmante. Era divertente e pieno di energia, sapeva trasmetterti sempre empatia».
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Che giorno è stato per lei quello di martedì?
«Una giornata triste, ma allo stesso tempo bella, perché c’è stato il riconoscimento di un campione del mondo del calcio, ma anche della città di Roma».
Anche se poi la gente è rimasta sorpresa che al funerale ci fosse lei e nessuno dei big della Roma?
«Il mio è stato un atto dovuto, per il bene che gli volevo. Ognuno risponde alla propria coscienza, forse alla Roma erano impegnati. Certo, 5 minuti da dedicare a un personaggio così si dovrebbero trovare sempre. Le morti sono tutte uguali, ma non è che in giro ci siano tanti Giacomino Losi. Rimanere nella memoria dopo che hai smesso di giocare 50 anni fa non è poco, vuole dire che hai lasciato una traccia».