La reazione dei club di Serie A all'abolizione del decreto crescita è stata molto piccata. Beppe Marotta in particolare si è scagliato con parole durissime contro la decisione del governo, ma in alcuni punti ha oltrepassato la realtà: è grottesco sostenere che ne verranno danneggiati i vivai perché meno finanziati, quando proprio dai vivai dovranno arrivare i giocatori che non sarà più conveniente ingaggiare all'estero.
In Serie A ci sono 78 stranieri che hanno giocato una media inferiore ai 5 minuti a partita, più altri 28 che non hanno raggiunto i 20': vuol dire che la loro incidenza è stata minima e che la loro presenza si spiega soltanto con l'agevolazione fiscale che li ha resi più conveniente di un giocatore italiano pescato in una Primavera o in Serie B. Il 65% delle presenze in Serie A riguarda calciatori stranieri, dunque non selezionabili per l'Italia di Spalletti, che è messo peggio rispetto a Mancini, che era messo peggio rispetto a Conte, che era messo peggio rispetto a Lippi.
Inoltre serve una rapida svolta nelle procedure per la costruzione di nuovi stadi e la privatizzazione di quelli esistenti, perché è questo il terreno sul quale siamo indietro rispetto ad altri campionati. L'aumento dei ricavi connesso all'ammodernamento degli impianti è l'esatto contrario dei doping fiscale ed è la strada maestra. I progetti di Inter, Milan e Roma devono sottostare a interminabili forche caudine, la Fiorentina sta litigano con il Comune e il Napoli oltre allo stadio non ha nemmeno un centro sportivo adeguato.
(La Repubblica)