Partire è un po' gioire, a volte. Lasciare tutto dopo una grande vittoria, andarsene scendendo dalla cima del mondo o del monte e trovare casa altrove. Ripartire non proprio da zero: da zero virgola uno. Sembra questo il destino di Luciano Spalletti, anzi la sua libera scelta, dopo il magnifico scudetto conquistato sulla panchina del Napoli, il primo della sua lunga storia italiana. (...) Anche l'ormai mitologico José Mourinho pare sul punto di fare la stessa cosa alla Roma: ha appena conquistato la seconda finale europea consecutiva, la prima l'ha già vinta l'anno scorso, la seconda chissà, lo sapremo il 31 maggio. Il fatto che lui non si prenda troppo con i proprietari americani del club giallorosso conta, ma non è tutto: il guru portoghese, ammaliatore di folle e tecnico di enorme sostanza emotiva e tattica, dunque non solo un abilissimo parolaio incantatore, ha già salutato squadre vittoriose grazie a lui: il Porto nel 2004, l'Inter del "triplete" nel 2010. Come se vincere non bastasse per voler rivincere, come se questo diventasse invece l'innesco della paura. Avere tutto da perdere, un istante dopo il trionfo, può essere l'inizio della discesa e quasi sempre lo è. (...) A volte sono i presidenti a forzare la mano agli allenatori, per gelosia, per un sottile narcisismo, perché non vogliono che qualcuno faccia loro ombra. Non può essere un caso se tre tecnici che hanno vinto lo scudetto negli ultimi anni, se ne sono andati appena ottenuto il risultato più grande: Conte (alla Juve e all'Inter), Allegri e Sarri. Qualcuno lo ha deciso da sé, qualcun altro è stato gentilmente accompagnato alla porta. Nessuno però è diventato un amore d'abitudine. Che non è nulla al confronto di quello perduto, e rimpianto.
(La Repubblica)