Non sarò a Budapest. Non è giusto. Avevo i biglietti ma non ci sarò. Il lavoro me lo impedisce, crudelmente e senza appello. [...] Penso che mentre scrivo mia figlia Anna è in viaggio con i miei due biglietti insieme al suo ragazzo, romanista accertato e certificato. Roma-Budapest in macchina, tredici ore salvo intoppi. La sua, la mia, la nostra, quella di un popolo che sta cor core acceso da due settimane. Ripenso a tutte le mie vigilie importanti. Alle attese interminabili in distinti Sud con mio papà e mio fratello Filippo, ciriole col crudo e pizza con la mortadella. Mio Papà romano e romanista totale ci portava allo stadio come alla Cappella Sistina. Ripenso al nostro viaggio Roma-Torino il 10 maggio 1981, l'attesa vissuta in macchina, l'euforia trasformata in rabbia. Perché il gol di Turone era buono, e forse ha ragione Biascica: lì cerano sotto i servizi segreti. Ripenso alle dieci ore di attesa prima di Roma-Liverpool, al balletto da pagliaccio di Grobbelaar, al dolore di quel finale atroce, subito rigenerato in amore al Circo Massimo. Perché amore e dolore a Roma camminano sempre insieme. [...]
(Il Messaggero)