Nel girone d’andata, le due squadre di Roma hanno conquistato 10 punti (a uno) contro le due squadre di Milano: e questo è il "cosa"', ma il "come" conta ancor di più. L'1 ottobre la Roma ha sbancato San Siro con i gol di Dybala e Smalling. certificazione di una crisi che ha costretto Inzaghi alla mossa forte - fuori il capitano Handanovic, dentro Onana - per voltare pagina. L’8 gennaio, dopo essersi fatta dominare per 85 minuti, la Roma ha ribaltato la stagione e l'umore del Milan con due calci piazzati.
Prima e dopo, Roma e Lazio hanno balbettato, hanno mandato segnali contraddittori, dimostrato di non saper reggere la pressione del doppio impegno europeo, ma hanno il merito di esserci sempre state nei turning point del campionato, e adesso se la giocano perlomeno alla pari nella grande marmellata che è diventata la lotta per la Champions.
Già appesantita dal pacco Correa spedito da Roma l'estate precedente, l'Inter non ha avuto la forza economica per convincere Dybala a fare l'ultimo chilometro in direzione Milano: così Paulo s'è stufato e ha accettato la corte di Friedkin, diventando così idolo popolare e anche indiscusso leader tecnico come nemmeno a Torino, riconosciuto apertamente anche da Mourinho. L'inno alla Joya ha così ulteriormente incupito Zaniolo, che ha rotto con ambiente e dirigenza e ha flirtato inutilmente con Maldini e Massara. Oggi può anche capitare che chi non era più titolare a Roma lo sarebbe diventato a Milano, e non solo viceversa. La differenza milanese - di lucidità, di metodo, di approccio al lavoro - sembra scomparsa: ne vediamo le conseguenze nelle espressioni smarrite di Inzaghi e Pioli, nelle loro titubanze dialettiche, nelle teste che si muovono sconsolate in orizzontale, mentre Mourinho e Sarri, entrambi alla seconda stagione, hanno trovato il loro personale modo di dire "Pijamose Roma".
Assecondandone le due diverse anime: fresco sessantenne, José sguazza nel ruolo da incantatore di serpenti ed è talmente dominante dal punto di vista mediatico che può anche permettersi il lusso - come successo a novembre - di silurare in diretta Karsdorp, procurando un danno tecnico ed economico alla rosa, senza che nessuno abbia aperto bocca. Il suo giocatore simbolo è Gianluca Mancini, difensore mediocre nella gestione Fonseca, che Mou ha trasformato in un piccolo Materazzi, odioso per gli avversari ma molto prezioso per il messaggio che trasmette ai compagni e alla partita: è quello che interpreta meglio di tutti una parte classica della commedia dell'arte calcistica del ventunesimo secolo, "il soldato di Mourinho".
L'anno scorso Pioli e Inzaghi avevano battuto Mourinho e Sarri nove volte su dieci, ma il passato non conta niente. Eravamo concentrati sul tramonto di Roma, magari credendo di intuirvi chissà quale banalissima similitudine con l'attualità politica, e ci sta scappando la crisi di Milano. Invece la capitale politica è una città che ama recitare a soggetto e ha bisogno di condottieri, di leader, se non proprio di eroi: a loro modo, interpretandone e introiettandone le due diverse anime, Mourinho e Sarri si sono presi Roma.
(Il Foglio)