IL TEMPO (A. AUSTINI) - Se si potesse creare un allenatore in un laboratorio, mischiare il dna di Mourinho e Spalletti non sarebbe una cattiva idea. Opposti e complementari, le qualità dell’uno aiuterebbero l’altro a diventare perfetto. Motivatore e stratega il romanista, maniaco della tattica il toscano che allena a Napoli dopo aver lasciato un segno indelebile a Trigoria, domenica sera si ritroveranno uno contro l’altro all’Olimpico dopo i due pareggi della scorsa stagione. Una sfida che stavolta può accorciare a un solo punto la distanza fra le squadre in classifica se dovesse spuntarla la Roma, in caso contrario i partenopei diventerebbero di diritto i candidati principali allo scudetto, anche se per molti lo sono già. Mourinho e Spalletti sono anche gli ultimi due tecnici ad aver portato trofei nella bacheca di Trigoria. La Conference League vinta lo scorso maggio dal portoghese ha interrotto il digiuno che durava proprio dall’ultima Coppa Italia conquistata dal condottiero di Certaldo nel 2008, facendo il bis dopo il trionfo dell’anno prima a cui aveva aggiunto anche una Supercoppa Italiana. Spalletti avrebbe potuto vincere anche uno scudetto meritatissimo se gli arbitri fossero stati più «giusti» in quel campionato 2007-08 chiuso tra mille rimpianti, mentre nella sua seconda esperienza in giallorosso ha centrato il record di punti nella storia del club, terminando secondo a quota 87 con 90 gol segnati la stagione 2016-17. Quella dell’addio di Totti tra mille tensioni, che hanno compromesso il rapporto tra il toscano e una parte dei romanisti. Oggi basta guardare le partite di Roma e Napoli per accorgersi di quanto siano diverse le strade scelte dai rispettivi tecnici. La squadra di Mourinho usa compattezza, concentrazione, difesa e fisicità come sue armi migliori. Se va in vantaggio è dura riprenderla e può colpire in ogni momento, sfruttando spesso i calci da fermo su cui Smalling & Co. sanno essere letali. Sono bastati appena 13 gol segnati in 10 partite per raccogliere 22 punti, gli azzurri di Spalletti ne hanno realizzati quasi il doppio (25), subendo lo stesso numero di reti: 9. Ma c’è da ricordare che quattro gol la Roma li ha incassati in una sola partita a Udine. Il gioco dei partenopei rivoluzionati sul mercato e reduci da dieci vittorie di fila compresa un fantastico rendimento in Champions si basa su accelerazioni continue fatte di tecnica e movimenti sincronizzati, possesso palla organizzato a partire dalla propria aria di rigore e l’interpretazione sin qui praticamente perfetta dei singoli. Su tutti il soprendente Kvaratskhelia, l’inarrestabile Anguissa - ora è infortunato ma sta provando a recuperare - il palleggiatore in versione moderna Lobotka e l’efficace Raspadori. Senza dimenticare il coreano Kim, capace di non far rimpiangere un certo Koulibaly, e ovviamente Osimhen appena rientrato. Le due squadre hanno ricominciato ad allenarsi ieri, la Roma lo ha fatto nel pomeriggio a Trigoria ma già dal mattino Mouinho aveva convocato tutto lo staff nel centro sportivo. Il segno di una settimana di lavoro speciale che è iniziata ieri, nella quale tutti lavoreranno sui dettagli per non lasciare nulla al caso. E stavolta Mourinho parlerà in conferenza stampa alla vigilia. Recuperato Karsdorp, il tecnico ha sostanzialmente tre scelte da fare nella formazione iniziale: quali esterni impiegare sulle due fasce tra l’olandese, Zalewski e Spinazzola, se riproporre dall’inizio Matic o insistere sul più dinamico Camara e chi lasciare fuori fra Abraham, Belotti e Zaniolo. Con Pellegrini che può fare sia la mezzala sia il trequartista, c’è posto solo per due degli attaccanti. Ma chiunque partirà fuori dovrà farsi trovare pronto. Perché partite così importanti si possono decidere anche con un singolo gesto.