In principio fu Dino Viola, indimenticabile presidente del secondo scudetto: fu lui per primo ad inseguire il sogno di uno stadio di proprietà. Poi il progetto ha solleticato anche Franco Sensi, l'altro grande presidente giallorosso artefice del terzo scudetto. Per l'americano James Pallotta, che fiutava il business, lo stadio era imprescindibile per una grande Roma e per... restare. Il naufragio del lungo e oneroso progetto a Tor di Valle è stato la goccia che lo ha convinto a passare la mano. Ora tutto lascia pensare che sarà Dan Friedkin con suo figllo Ryan a riuscire dove altri hanno dovuto rinunciare,
La sua sta diventando rapidamente una «grande presidenza». E i motivi sono molteplici: hanno comprato il club in difficolta trasferendosi nella Capitale, inserendo enormi flussi di denaro per ripianare perdite, sistemare un bilancio dissestato e far restare competitivo il club. Il tutto in silenzio senza mai lanciare accuse o lamentarsi della gestione precedente. Hanno cambiato tanto dentro il club, rispettandone la storia, le tradizioni, il marchio, ma modernizzando la struttura anche attraverso la scelta di un manager giovane e capace, come Pinto, e un totem in panchina come Mourinho. Queste scelte, insieme agli investimenti, hanno portato la Roma a vincere un trofeo europeo che mancava da 61 anni.
Soprattutto hanno deciso di abbandonare il vecchio progetto stadio, che pure era costato molto, per ripartire da zero con un nuovo piano, agendo sotto traccia, ma con profitto e trovando una sponda nel Comune. Speriamo che la mala politica e i cavilli burocratici non ci smentiscano. Sarebbe davvero imperdonabile perdere questa occasione. Roma, non solo la Roma, deve approfittare delle capacità imprenditoriali e della serietà finora dimostrate da questa proprietà, così lontana dagli eccessi, dalle polemiche, dalle urla e dalle vuote parole. Costruire lo stadio farebbe ricordare la famiglia Friedkin per sempre, come chi ha vinto uno scudetto e anche di più, per i benefici che uno stadio porterebbe nel tempo.
(Gasport – A. Di Caro)