La Roma ha trasformato il gioco delle tre carte nel gioco delle tre partite. Storia vecchia. Disco rotto. La solita sceneggiatura in cui ad un certo punto qualcuno, chissà chi, fischia e il gruppo smette di colpo di fare quel che stava facendo. Paralizzato, cristallizzato. Una dimensione, questa della doppia o tripla identità all’interno di un’unica esibizione, che il calcio non può né deve tollerare. Giovedì sera in Norvegia la Roma aveva iniziato giocando. Sempre a modo suo, per carità: ossia giocava quel suo gioco grigio e sporco. Tuttavia per il livello della contesa era più che sufficiente, anche perché un pareggio sarebbe andato bene [...].
Quando la posta si alza, la Roma ha sempre i minuti contati. Incredibile. Nel secondo tempo si son viste gambe che non giravano più, la nebbia aveva invaso le idee, la fantasia, anche minima, era uscita dal campo. Si sono aperte voragini davanti alla difesa e improvvisamente cinque giocatori del Bodø pareva che andassero a cento all’ora. E quando è così la Roma comincia a inanellare errori tecnici. Una condanna [...].
(Repubblica - E. Sisti)