IL ROMANISTA (T. CAGNUCCI) - «A casa ho ancora una gigantografia della Curva Sud, e papà ce l'aveva nella stanza dov'era ricoverato: "Un uomo solo al comando, con 11 leoni al suo fianco, la sua maglia è giallorossa, il suo nome è GIGI RADICE". Quella è una manifestazione che nessuno ha mai fatto a papà. E tuttora siamo gelosi di quella immagine. È stata una cosa bellissima Roma…». Una settimana dopo quella partita la Roma di Gigi Radice avrebbe battuto in uno dei derby più derby di sempre la Lazio con un gol di Voeller. Era un 18 marzo come ieri, oggi è la festa del papà, domani c'è il derby ma se parli con Ruggero Radice di suo padre Luigi, di quell'anno al Flaminio, del Torino, della malattia bastarda, come la chiama lui, come è l'Alzheimer che l'ha portato via vale la pena sempre. "Sta a gioca cor core" s'inventarono come coro i ragazzi della Sud per quella Roma, Ruggero "gioca" alla stessa maniera, solo che non è un gioco. [...]
Forse il calcio lo ha dimenticato, i tifosi no. A Roma sicuramente per niente.
«Lo so, lo so, tanti attestati di stima. [...] Anzi più che attestati di stima, io direi che i tifosi della Roma gli volevano proprio bene a papà».
Te ne rendevi conto anche all'epoca?
«Assolutamente. Mio padre come da tradizione dopo ogni partita tornava a casa, ma si vedeva che non vedeva l'ora di riandare a Roma. Voleva andare dalla squadra, soprattutto se magari c'era un ragazzo infortunato. Gli piaceva l'ambiente che si era creato, la magia di quello stadio con quei tifosi. Io avevo 19 anni, ero alle prime esperienze da giocatore. Roma non l'ho vissuta "da stadio", perché giocavo, mi capitava di venire durante la settimana e il ricordo è soprattutto sull'alchimia che si era creata. Papà aveva scelto di vivere in centro, gli è sempre piaciuto vivere la città, aveva l'abitudine di portare i giocatori a cena». [...]
È la festa del papà, se potessi dirgli qualcosa che gli diresti oggi?
«Guarda è la più bella domanda che mi hai fatto. Quando mancano i genitori ti mancano le parole e ti vengono in mente quelle che non hai detto loro. Noi non eravamo chiacchieroni, ma è chiaro che il calcio ci univa e ci portava a parlare. Io a papà gli dico che deve essere orgoglioso per quello che ha fatto, di quello che ha lasciato ai calciatori, ai tifosi, a noi. A me. E ti prego ringrazia ogni tifoso della Roma che pensa ancora a lui».
Con tutto il cuore.