Quarta sconfitta nelle ultime sette gare tra campionato e Conference, con una sola vittoria sul Cagliari. I fatti dicono che, in 4 giorni, la Roma è scivolata al secondo posto di un girone di Conference League con avversarie che galleggiano tra il posto numero 100 e 200 del ranking Uefa ed è uscita dalla prime 4 in campionato. Per José Mourinho i grandi problemi sono due: gli arbitraggi e i limiti dei suoi calciatori. Ha ragione da vendere quando chiede più chiarezza sui calci di rigore. Ieri un contatto Cristante-Caldara è stato punito dall’arbitro Aureliano, pessimo, con il penalty che ha riportato il Venezia sul 2-2. Rientra nella “famiglia” dei rigori, o meglio dei rigorini, come Romagnoli su Kalinic (Milan-Verona, concesso), Dumfries su Alex Sandro (Inter-Juve, concesso), Kjaer su Pellegrini (Roma-Milan, non concesso). Manca uniformità di giudizio, questo è certo, e la Roma ha il diritto di sentirsi in credito. Lo Special One si è anche lasciato andare a un’imprevedibile nostalgia di Bruno Peres e Juan Jesus, senza pensare che il Venezia, ad esempio, ha una squadra di totali esordienti in serie A, o quasi, e che due dei suoi punti di forza sono stati Busio (classe 2002) e Ampadu (2000). Si può fare calcio anche senza 22 titolari fatti e finiti. Non è vero, come ha detto Mou, che il Venezia non ha mai messo in difficoltà la Roma. Tre gol, una traversa, Rui Patricio sugli scudi in almeno due occasioni, un gol divorato da Okereke sull’1-0. Per essere il peggior attacco del campionato, non è male. La Roma concede troppo e se è stata giusta la scelta di schierare insieme Abraham e Shomurodov, con l’inglese che a tratti è sembrato Lukaku, è stato bravo anche Zanetti a scegliere un attacco “leggero” che ha creato difficoltà ai compassati Mancini e Kumbulla. Mou è stato preso per dare valore aggiunto, per ora ci è riuscito poco.
(corsera)