Sulle plusvalenze delle società di calcio non indagano più soltanto Figc e Consob ma anche (almeno) una Procura della Repubblica. Il sospetto è che si tratti di proventi che possono essere stati «alterati» attraverso scambi di calciatori a valori superiori rispetto a quelli di mercato. Lo schema è semplice: una transazione in cui non vi è esclusivamente un pagamento in denaro ma il prezzo è corrisposto (in tutto o in parte) attraverso uno scambio di asset (calciatori) si presta a essere perfezionata a valori superiori senza che nessuna parte subisca un danno. Anzi, cosi facendo, si garantisce a entrambe le società un beneficio immediato rappresentato dalla possibilità di «gestire» (ovviamente al rialzo) le plusvalenze realizzate.
Infatti, cosa succede se due club si scambiano due calciatori che valgono 10 (e sono iscritti in bilancio a un valore residuo di 2) ma stabiliscono che il prezzo (di entrambi) è di 50? Semplice: la plusvalenza che realizzano (entrambi i club) è di 48 (anziché di 8) e il bilancio dell' esercizio in corso è salvo. Ma tutto questo ha delle conseguenze: accade, infatti, che quel costo (ossia la valutazione del giocatore in entrata) dovrà essere addebitato al conto economico degli esercizi successivi attraverso le quote di ammortamento. E questo comporterà che ciascun club (a parità di altre condizioni) farà in futuro perdite maggiori e avrà un bisogno sempre crescente di plusvalenze che diventano quindi uno «strumento» tanto necessario quanto disastroso nel medio-lungo termine.
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L'importante, però, è che nessuno si scandalizzi più per queste situazioni perché già 20 anni fa il contesto era drammatico e ci volle una legge dello stato per evitare un sostanziale default del calcio italiano. Si trattò del decreto «salva-calcio» o «spalma-debiti» [...].
(Milano Finanza - G. M. Committeri)