Il mondo del calcio come lo conosciamo si è via via sgretolato perché la dimensione economica dello sport professionale ha preso sempre più piede. Punto di non ritorno, secondo i critici, sarebbe proprio il progetto della Super League europea che imita i modelli americani. Esso crea infatti un torneo tra quindici squadre prime della classe iscritte stabilmente, e dunque senza rischio di retrocessione, e cinque squadre scelte a rotazione, con criteri da stabilire, tra quelle che hanno ottenuto i risultati migliori nei campionati nazionali. Viene così meno in gran parte la costruzione piramidale del calcio a livello nazionale ed europeo nella quale ciascuna squadra sale o scende in base a meriti e demeriti. In realtà, già oggi il sistema non è egualitario, considerata la disparità di risorse economiche tra i grandi e piccoli club dovuta alla diversa consistenza delle tifoserie anche a livello globale, con conseguente maggiore o minore appetibilità dei diritti televisivi. Le stesse Uefa e Fifa hanno un peso economico rilevante. Questa evoluzione è stata colta dalla Corte di giustizia dell'Unione europea che ha via via precisato i presupposti e i limiti entro i quali le regole sull'organizzazione nazionale ed europea delle attività sportive devono rispettare i principi dei Trattati europei e in particolare in materia di concorrenza. Risale a un quarto di secolo fa la sentenza capostipite che ha segnato la crisi dell'autonomia degli ordinamenti sportivi, senza ingerenze da parte di norme statali o europee. Nel caso Bosman infatti la Corte di giustizia dell'Unione europea ha censurato una normativa belga che poneva limiti al trasferimento dei calciatori da un club all'altro (sentenza 15 dicembre 1995, in C-415/93). E ciò in applicazione del principio della libera circolazione delle persone.
(Milano Finanza)