SPORTWEEK - Marash Kumbulla, ospite per un giorno nell'Ambasciata albanese, ha rilasciato un'intervista sulle pagine del quotidiano sportivo nazionale in cui, tra le altre cose, oltre che della Nazionale albanese ha parlato della sua esperienza con la maglia giallorossa e del ruolo dei Friedkin all'interno di Trigoria. Queste le sue parole.
"Io ci tengo tantissimo ad essere d’esempio, aiutare i tanti albanesi che vivono in Italia. Mi piacerebbe diventare un riferimento per molti giovani".
Come ci si sente a rapprentare un po’ dell’Albania?
Sono nato e cresciuto in Italia, la cultura italiana ce l’ho dentro e ne sono felice. Ma a casa, ovviamente, ho acquisito anche quella albanese.
Vivendo a distanza, ha mai avuto problemi di integrazione nel tessuto sociale del suo Paese?
Mai. Anche se la mia famiglia è originaria di Scutare, nord dell’Albania. Ed essenso cresicuto in Italia ho imparato la lingua dai miei genitori, quasi un dialetto.
Avverte la lontanaza dal suo Paese?
Non mi sono mai sentito lontano, neanche ora che per i tanti impegni ho meno tempo per andare in Albania. Da piccolo ci andava in vacanza, dai nonni stavo anche un mese e mezzo, era bellissimo.
Ci racconta il suo angolo di Albania?
I primi anni andavo a Lezha, al mare, i nonni si erano trasferiti lì. Poi abbiamo preso una casa a Scutari e abbiamo vissuto di più la cittò d’origine. Città particolare: centro piccolo e periferia estesa.
A proposito del Covid, lei l’ha vissuto sulla sua pelle. Ne usciremo vincitori da questa battaglia?
Una brutta esperienza, anche se io non sono stato male, ero solo un po’ stanco i primi giorni. Ma con oltre centomila morti, è evidente come sia uno dei momento più brutti della storia dell’Italia. Prima o poi ne usciremo, quando non lo so. Ma ho la sensazione che la soluzione del problema non sia così vicina come si spera.
Cambierà anche il mondo del calcio: meno investimenti, meno ricchezza per tutti…
Il Covid ha stravolto il mondo, non solo il calcio. Si è già visto nell’ultimo calciomercato, con pochi trasferimenti e mno investimenti rispetto al passato.
Sente la responsabilità di essere un punto di riferimento per gli albanesi?
Sì, ma non ci penso tanto. La responsabilità a volte ti può portare a sbagliare, è meglio non pensarci su. Quando ci sono meno pressioni tutto viene meglio.
Tra poco iniziano le qualificazioni a Qatar 2022. L’Albania non è mai andata ad un Mondiale…
E’ il mio sono più grande. Siamo un Paese piccolo, il traguardo è difficile. Ma noi albanesi siamo forti, un popolo patriottico, riusciamo a colmare il gap con il carattere e la voglia di arrivare.
L'avventura alla Roma...
All’inizio ho fatto fatica, la città è grandissima. Io poi a Verona non vivevo neanche in centro ma in periferia. È tutto un altro mondo: la prima esperienza lontano da casa, la prima volta che ho cambiato squadra. All’inizio è stato complicato, ma ora mi sento come a casa.
Fonseca…
Mi ha fatto crescere nella selezione delle scelte sul posizionamento. Nella fase difensiva non è cambiato molto: con Juric giocavamo a uomo a tutto campo, con Fonseca solo in alcune zone.
Futuro…
Sono giovane. Cerco di dare il massimo, sapendo che posso migliorare. Ma uno dei miei grandi sogni è diventare un pilastro della Roma, aiutandola a vincere qualcosa.
Sulla proprietà…
I Friedkin guardano ogni allenamento, sono sempre a disposizione. Mi hanno fatto subito un’ottima impressione. La loro presenza aiuta nei momenti felici, ma soprattutto in quelli di difficoltà.
Giocare senza pubblico…
Ora ci siamo abituati, anche se uno stadio vuoto ti dà meno carica. All’inizio è stato un trauma: entri in campo e ti sembra di giocare la partitella del giovedì. Meglio con i tifosi, anche se ti fischiano. Tra il niente e i fischi, preferisco i fischi. A me poi i rumori aiutano a concentrarmi. Non vedo l’ora di giocare all’Olimpico coi tifosi.