“Scusa” è una bellissima parola. Talmente bella che quasi verrebbe di fare apposta qualcosa di riprovevole per poterla dire e ridire. Fortunato chi la riceve, ancora più fortunato chi la pronuncia. Gli uomini fanno, per lo più, una fatica bestiale. Alcuni si farebbero sparare pur di non dirla. Edin Dzeko, a quanto pare, è uno di loro. Ha insultato il suo allenatore davanti ai compagni e, se il labiale non mente, lo avrebbe sbeffeggiato platealmente davanti a milioni di italiani, le telecamere addosso, ripetendo qualcosa che suonava come: “In che mani siamo?...”, con tanto di sottolineatura gestuale, da latino ormai di adozione.
Non sappiano cosa Edin abbia realmente detto a Paulo Fonseca, ma sappiamo che se in uno spogliatoio, o in qualunque famiglia, viene messo in discussione il principio di autorità è l’inizio della fine. Se a farlo è il capitano, lo sfascio è garantito. Anche per questo - nel caso non si concretizzasse lo scambio con Sanchez - Edin deve chiedere scusa al suo allenatore, a prescindere da come la sua coscienza aggiusterà o meno il fattaccio incriminato.
A differenza di Mourinho, portoghese ruvido, scontroso, l’arroganza innata di chi non sa altro sentirsi che al centro del mondo (le stesse carezze qua e là dispensate ai giocatori hanno qualcosa di padronale, sono manifestazioni di controllo e di potere), Fonseca è il portoghese che trovi nelle cartoline del Fado a Lisbona, la stessa morbida e trasognata eleganza, una malinconia che arriva certo da molto lontano. Fonseca è un portoghese gentile, affabile, ma, come tutti i portoghesi gentili, con un senso marcato della dignità e dell’onore. [...]
Liberarsi del padre, perché troppo padrone o perché troppo poco, è un classico della psicoanalisi, ma anche del calcio. L’amore diventa facilmente odio. Ho sempre pensato che il grande allenatore è quello che entra nella testa dei giocatori e li convince a dedicare a lui le loro imprese. Se non lo fai, sei “morto” ancora prima di morire. Se lo fai, troverai prima o poi qualcuno che ti “uccide”. Da allenatore, in ogni caso, sei un morto che cammina.
(G. Dotto - Corriere dello Sport)