Dal 30 dicembre 2012, giorno in cui il presidente della Roma, James Pallotta, e l’imprenditore Luca Parnasi firmarono l’accordo per la costruzione del nuovo stadio nell’area di Tor di Valle, sono successi così tanti avvenimenti da ribaltare infinite volte l’esito della risposta. Due punti chiave: 1) l’area individuata è stata scelta dopo una selezione che ne ha prese in considerazione un centinaio; 2) nel 2012 Pallotta credeva che la Roma avrebbe giocato nel nuovo stadio nel 2016. Quel giorno di dicembre, a benedire l’accordo dal Campidoglio, c’era il sindaco Gianni Alemanno, ma dopo le successive elezioni, a concedere l’indispensabile riconoscimento della Pubblica Utilità (il 4 settembre 2014) è il sindaco Marino. Le dimissioni, però, mandano al governo della città Virginia Raggi. La sindaca ottiene un profondo «restyling» dell’opera, con un taglio di cubature. assato tutto alla Conferenza dei Servizi, in cui anche la Regione gioca un ruolo decisivo, il 5 dicembre 2017 arriva l’ok, sia pure con 173 fra prescrizioni e osservazioni. Al netto della burocrazia, sembra il rettilineo finale, ma nel giugno 2018 la Procura scatena l’inchiesta «Rinascimento», che coinvolge politici, consulenti e imprenditori, fra cui Parnasi. Fino a quel momento, Pallotta ha speso circa 80 milioni per il progetto, ma la questione, diventa solo politica. Con la decisione però della Raggi di ricandidarsi, il sì allo stadio ha ripreso vigore, con la sindaca che ha dichiarato come il via libera definitivo arriverà «entro la fine dell’anno». La palla ora è ai Friedkin, i quali si dice non siano entusiasti del progetto. Per questo sono stati avvicinati da politici e imprenditori romani che hanno riproposto tre aree a suo tempo scartate: Fiumicino, Tor Vergata e Flaminio. Al di là delle suggestioni, però, i Friedkin sanno bene che cambiare area significa spostare le lancette indietro di 4-5 anni.
(Gasport)