Più o meno nel III canto del Purgatorio, Dante comincia a porsi un problema da niente: perché le anime, che sono ombre, soffrono il caldo, il freddo, i patimenti e le pene? E non sa dare una risposta. Ecco. La Roma è un ombra che soffre. Un’anima in disgrazia [..]. Nella migliore delle ipotesi, e sino a prova contraria, la Roma è un’anima in affitto che nessuno vuole più accollarsi, difficile da abitare, difficile da ammobiliare, difficile da gestire per gli alti costi di effetti speciali che non portano più a nulla: difficile persino da tifare ormai. A volte sfugge alle telecamere, questa squadra inconsistente, tornando anima in tutto e per tutto. Ma è un’anima, come dicevamo, senza padroni, né sul terreno di gioco, né in panchina, né dietro le scrivanie. Ovunque è nebbia, una nebbia densa, nerastra, nebbiose le fantasie del tecnico e nebbiosi i piedi che eseguono lo spartito, ammesso che ve ne sia uno e che non sia tutta una recita a braccio, un’improvvisazione disperata, fra gambe molli e automatismi disattivati o mai accesi. La realtà è che quell’anima chiamata Roma, in dissipazione progressiva, non interessa più a nessuno. Non ai giocatori, che hanno perduto qualunque slancio e che sembrerebbero aver dimenticato che uno sport di squadra deve possedere, di base, un gioco di squadra (anche nel perseguire un obiettivo comune). Non ai dirigenti, che per istinto venderanno quel po’ che c’è di acquistabile, a cominciare, vediamo un po’, da Zaniolo? Non al tecnico, al quale verrebbe da chiedere, tra le altre cose: perché umiliare Ünder facendolo giocare dalla parte sbagliata e poi toglierlo? Tanto valeva dirgli: vattene al Napoli o dove ti pare, qui non c’è più posto per te. Eppure Cengiz è l’unico che ha ancora un barlume di coraggio nella giocata individuale, là dentro. Ancora rischia. Gli altri è come se avessero deciso di pensare al (loro) futuro. [..]
(La Repubblica - E. Sisti)