Il calcio si è ripreso subito lo spazio che il virus gli aveva tolto. Le due partite giocate hanno fatto insieme quasi 6 milioni di telespettatori e percentuali altissime, 34 e 32. Non credo ne avrebbero fatti meno se non ci fosse stata la malattia. La spinta veniva più dall'importanza delle partite che dall'astinenza. Il calcio è un'abitudine consacrata, fa parte della nostra fisiologia, non si rimette in moto, è sempre dentro di noi. Questo conferma che il suo successo non sta nella bellezza del gioco quanto nell'importanza del risultato. Il gioco è sempre e soltanto un mezzo. Puoi segnare anche con un rinvio di Ospina e non tirare più in porta. Sei felice lo stesso perché conta vincere. Questo è il segreto popolare del pallone. E una vendetta sociale, rara ma sempre possibile. Il lungo tempo regalato al virus ha fatto più danni all'Inter. È una squadra fisica, molto bloccata sugli insegnamenti del proprio tecnico, quindi meno portata all'istinto, che nel calcio è quasi metà del gioco. L'Inter non è giudicabile dalla partita di Napoli, ma i due terzi di stagione passati dicono che la squadra è pronta, difficilmente migliorabile, perché la diversità finale, quel po' di surrealismo mentale, manca in quasi tutti i suoi componenti, per il resto ormai molto competitivi. Competitivi appunto. Non vincenti. L'Inter si ferma sempre quando l'avversario cresce. E successo due volte con la Juve, è successo in Champions, è successo con la Lazio e ora in Coppa Italia. La mia impressione è che debba essere più elastico Conte nel giudicare la squadra e se stesso. E come se l'Inter avesse un indirizzo unico, un peso che toglie ai giocatori la parte di talento puro che hanno. C'è troppo Conte in questa squadra. Questo toglie responsabilità a chi gioca. Se Conte riesce a calibrare il suo rapporto con la squadra, ha ancora spazio davanti. L'Inter ha un calendario ottimo.
(Corsera - Mario Sconcerti)