CORSPORT - Al quotidiano ha rilasciato una lunga intervista l'ex Roma tra le altre, Ciccio Graziani, che ha ripercorso i suoi anni in giallorosso:
La Roma le è rimasta nel cuore.
«Sono rimasto legato a tre società in modo meraviglioso. Torino, Fiorentina e Roma mi hanno dato tanto. Con la Roma sento di avere un debito di riconoscenza, perché ho più ricevuto che dato e mi dispiace di esserci arrivato solo a 30 anni. Mi sarebbe piaciuto cominciare e finire lì. Quei tre anni sono stati fantastici, per i rapporti con la città, i tifosi. Quando torno a Roma la gente mi manifesta ancora il suo calore: «Peccato per quel rigore, ti abbiamo voluto bene lo stesso»".
Alla Roma trovò Liedholm.
«Con lui ho avuto un rapporto conflittuale e di grande affetto. Venivo da un allenatori come Radice e De Sisti e il rapporto era diretto, c'era molto dialogo. Con Liedholm quando arrivai mi disse: "Sono molte felice di poterti allenare mi sei sempre piaciuto, sei un grande calciatore". Io cercavo il dialogo, il Barone evitava anche se stesso. Mangiava da solo, parlava poco, parlavano soprattutto Tessari e Colucci. Lui era distaccato e quando glielo facevo notare diceva che era di un'altra generazione. All'inizio facevo fatica, poi mi sono adattato. I compagni mi dicevano: "II mister è così...". Ma quando ti lasciava fuori senza dire niente era difficile da accettare. Da febbraio in poi le cose sono andate meglio, si era ammorbidito, alla fine dell'anno mi è dispiaciuto che se ne sia andato. Con lui ero migliorato tantissimo dal punto di vista tecnico. Il mercoledì pomeriggio facevamo i palleggi, la guida della palla. Io dicevo: "Ma che siamo tornati al Nagc?". Lui rispondeva con il suo stile: "Caro Graziani, dai ascolto, vedrai che migliori". Così facevo 50 palleggi con il sinistro e qualche volta cadeva il pallone. Ci allenavamo nei tiri io, Pruzzo e Conti, lui passava il pallone e ci diceva dove metterlo. Eravamo migliorati tutti del 50 per cento dal punto di vista tecnico».
Quando andò via era finito un ciclo.
«Ho un grande rammarico, perché quella squadra doveva vincere tre scudetti, credo di aver giocato nella squadra più forte in assoluto, con potenzialità incredibili e forse non ce ne eravamo accorti neanche noi. Forse è stato quello l'errore nostro, non superficialità. Non eravamo coscienti che fossimo così forti. C'erano campioni straordinari. Nela era una belva su quella fascia, ne cito uno solo. Avremmo dovuto raggiungere traguardi maggiori. Ho vinto due coppe Italia ed è come se non fosse nulla. Che rabbia».
Di Bartolomei?
«Di Agostino ho un ricordo bello. L'ho sempre chiamato il capitano silenzioso, era come il Barone. Loro si capivano con gli sguardi, anche senza parlare. Agostino era un po' chiuso, introverso. Però a volte lo sentivo parlare con la segreteria di Andreotti, con il sindaco di Roma. Alzava il telefono e parlava con chiunque. A volte dava l'impressione di essere scostante, si isolava dagli altri. Poi c'erano momenti in cui scherzava e faceva battute. Il rapporto era buono, poi con qualcuno vai più d'accordo, con altri meno. Una volta gli dissi: "Guarda che vederti sorridere è un piacere". E lui: "Non mi rompete...". Frequentava Guttuso e aveva amicizie di alto livello. Era appassionato di arte, anche in questo andava d'accordo con Liedhoim. Era molto amico di un cardinale importante in Vaticano, mi disse: "Se hai bisogno dimmelo, se devi andare a prendere un medicinale o per qualsiasi altro". Era un ragazzo, eppure alla sua età parlava con tutti. Aveva un bel carisma. Quando è successa la disgrazia sono rimasto addolorato. Ci siamo fatti tante domande: cercava lavoro e non glielo hanno dato; aveva problemi finanziari, ma ci hanno assicurato di no. Io sono un po' arrabbiato: se avesse chiesto a chiunque di noi aiuto ci saremmo adoperati, magari per farlo rientrare alla Roma. Anche se non conoscevo Sensi mi sarei permesso di chiedere un incontro per dirgli di riprenderlo. Tutti di quella squadra lo avrebbero fatto. Per questo mi porto un piccolo peso, perché forse non abbiamo capito che potesse arrivare un tragedia come quella. Quando arriverò in Paradiso, perché io faccio in modo di meritarmelo, faccio due cose: prima gli do un calcio nel sedere e poi lo abbraccio. Avrebbe dovuto avvertirci del disagio che stava vivendo».
Agostino fu uno dei protagonisti in quella maledetta notte dei rigori contro il Liverpool.
«I cinque rigoristi erano già stati ipotizzati, ma non scritti. Poi le sostituzioni di Cerezo e di Pruzzo ci misero in difficoltà. Per scaramanzia il Barone quando ci allenavamo prima della finale non ci faceva calciare i rigori. Diceva che portava male. Ma noi di nascosto qualche rigorino lo tiravamo alla fine dell'allenamento, anche perché Tancredi ci chiedeva di farlo. Liedholm era convinto che non saremmo mai andati ai rigori. Quando accadde è cominciata la conta. Pruzzo era stato sostituito, ma faceva da punto di riferimento. Roberto mi disse: "Ciccio, devi tirare". Poi si propose Strukelj che era entrato al posto di Cerezo, ma Pruzzo disse no. Poi fu chiamato Chierico. Falcao doveva essere dentro. Paulo disse: "Io rientro dopo tre mesi, sono stanco morto, se c'è qualcuno al posto mio lo preferisco". Nacque una piccola discussione. Arrivò Righetti e disse: "Lo tiro io". Alla fine eravamo in cinque, Chierico era l'ultimo. Quando si cominciò Agostino mi si avvicinò: "Ho le gambe pesanti, vai tu per primo". Io dissi: "Va bene prima lo tiro e meglio è". Presi il pallone e andai verso il dischetto. Mi stavo concentrando, quando arrivò Agostino: "Fermo, il Barone vuole che sia io il primo". Quindi gli lasciai il pallone. Quando tornò in mezzo al campo, dopo aver fatto gol, mi incoraggiò: "Fai come me, tira una botta in mezzo, tanto lo scemo (Grobbelaar, n.d.c) si muove sempre. Non piazzarlo". Mi concentrai per calciare forte, la palla ha scheggiato la traversa, andai male con il corpo sul pallone. Un errore che mi porto dentro con grande rammarico, se avessimo vinto quella coppa saremmo nella storia della Roma in eterno, ma quello che mi pesa di più è aver infranto il sogno di tanta gente».
Se si tornerà a giocare la Roma ripartirà dal sesto posto.
«Troppi alti e bassi. Credo che Fonseca sia un allenatore che abbia idee giuste, innovativo, mette tanto di suo. Ha avuto tanti infortuni, si è dovuto inventare Mancini centrocampista. Ma è mancata continuità, troppe sconfitte contro avversari modesti. La Roma come qualità meriterebbe il quarto posto, anche se l'Atalanta è un'orchestra perfetta. Dzeko può e deve fare molto di più. Vedere che uno con le sue qualità ha fatto meno gol di Joao Pedro o di Caputo mi fa incazzare. Lo vorrei vedere più grintoso, più cattivo. Se avesse la rabbia mia o di Pruzzo farebbe 30 gol a stagione»