IL TEMPO (A. AUSTINI) - Nove gol incassati nelle prime sei partite. Dieci nelle quattordici gare successive. I numeri fotografano alla perfezione l'inversione di tendenza della Roma di Fonseca. E nel campionato che storicamente premia chi è più bravo a «non prenderle», è una svolta di grande valore. I giallorossi sono diventati improvvisamente solidi: da 1.5 reti subite a partite, si è passati a meno della metà con una media di 0.71. Non più una tendenza, ma un dato di fatto visto il livello complessivo degli avversari incontrati nei venti match sin qui disputati tra Serie A ed Europa League.
La consacrazione del bunker romanista è arrivata venerdì sera a San Siro, dove Smalling e compagni sono riusciti a chiudere la sfida con l'Inter con la porta inviolata, contro una squadra che finora aveva segnato almeno un gol in ogni partita. Sia in campionato sia in Champions. Eppure sono passati appena tre mesi da quando il Genoa rifilava tre gol alla Roma al debutto stagionale all'Olimpico, la Lazio si fermava a uno ma colpiva quattro legni, il Sassuolo ne infilava un paio e l'Atalanta idem fallendo altre chiare occasioni. Contro i giallorossi era troppo facile calciare in porta e, inevitabilmente, segnare. Fonseca è stato bravo a correre in fretta ai ripari, adattando la sua idea di calcio. senza stravolgerla, e applicando dei correttivi via via sempre più efficaci. Da uno dei terzini bloccato, all'idea di Mancini mediano, fino alle scelte sui singoli coraggiose e vincenti: Florenzi e Fazio sono al momento le «vittime» illustri della rivoluzione guidata dal portoghese, ma finché la squadra vince e convince nessuno può mettere in discussione l'allenatore.
Poi ci sono gli innegabili meriti dei calciatori, con la coppia Mancini-Smalling in copertina. Nelle sei partite in cui hanno giocato insieme al centro della difesa la Roma ha subìto appena due gol (uno col Cagliari, l'altro a Verona) e adesso nessuno davvero può rimpiangere Manolas. Più difficile dimenticare Alisson, appena premiato come miglior portiere al mondo, ma Pau Lopez ha alleggerito la nostalgia del brasiliano e Mirante contro l'Inter si è dimostrato ancora una volta un ottimo «secondo», sempre pronto quando viene chiamato in causa. Dopo anni alla ricerca vana di numeri 1 affidabili la Roma da diverse stagioni - a parte la parentesi sfortunata di Olsen - è finita in buone mani. Da non sottovalutare anche l'apporto dei centrocampisti, con l'instancabile Veretout che non salta un minuto da oltre un mese senza accusare più di tanto la fatica e Diawara che si è inserito in fretta nei meccanismi, diventando una pedina inamovibile dopo l'infortunio. Lui usato come pedina di scambio proprio nell'affare Manolas. Per una volta, nessun rimpianto.