LA REPUBBLICA (M. PINCI) - Al numero 46 di Route de Genève, a Nyon, da ieri Il clima è bollente. La questione turca è arrivata all'Uefa: un fascicolo non esiste, non ancora, solo perché la vicenda è troppo delicata per essere messa nero su bianco. Di sicuro però la più importante istituzione del calcio europeo da sempre irremovibile nel vietare manifestazioni politiche nelle proprie competizioni rischia di trovarsi in Imbarazzo. Troppi calciatori espongono da giorni il loro sostegno alla guerra di Erdogan, anche attraverso gesti espliciti su un campo di calcio durante una gara di qualificazioni all'Europeo.
C'erano 600 agenti in assetto anti sommossa ieri notte allo Stade de France mentre Francia e Turchia si affrontavano in campo: per molti non si sarebbe nemmeno dovuta giocare. A fine partita, ad alimentare la tensione, il festeggiamento della squadra turca: mani alla fronte a mimare il saluto militare davanti ai 3800 turchi in tribuna, quasi una risposta allo striscione francese “smettetela di massacrare i curdi”. Era andata così anche pochi giorni fa, dopo il gol decisivo contro l'Albania venerdì; al gesto per ora ha iniziato a «interessarsi» anche la Commissione disciplinare Uefa. Dovrà stabilire se sia un esplicito riferimento politico - e in questo caso l'inchiesta potrebbe portare alla squalifica dei calciatori - oppure se sia un gesto interpretabile, ossia se possa essere letto con accezioni diverse da quella politica. Sorprendentemente è questo, per ora, l'orientamento a Nyon.
C'è in ballo però una questione persino più imbarazzante, per l'Uefa; il prossimo 30 maggio Istanbul dovrà ospitare la finale di Champions League, la più importante competizione per club in Europa. Partita che, da sola, porterà alla città turca un giro d'affari da quasi 50 milioni. Per molti è necessario un segnale: anche il ministro dello Sport italiano Vincenzo Spadafora ha preso posizione, chiedendo all'Uefa di «valutare se non sia inopportuno mantenere, ad Istanbul, la finale». Dai vertici del calcio europeo però giudicano la discussione almeno prematura: a decidere sulla finale è infatti l'esecutivo, che si riunirà a dicembre e poi a marzo. In caso di necessità sono già pronti due stadi “alternativi”: Wembley, a Londra, e l'Allianz Arena, a Monaco di Baviera. Ma per stravolgere la propria organizzazione all'Uefa basta un mese, i biglietti non saranno venduti prima di marzo e quindi a Nyon ritengono di aver tempo per capire come evolverà la situazione.
La questione ha colpito allo stomaco anche il calcio italiano: i tifosi della Roma hanno visto un loro giocatore, Cengiz Under. esplicitare lo stesso saluto militare via socia). ma con indosso la maglia giallorossa. Un putiferio in cui la Roma non ha voluto (o potuto) metter bocca, per non alimentare tensioni in vista della trasferta della squadra a Istanbul a fine novembre, per giunta contro il Basaksehir, squadra vicinissima al presidente Erdogan.
Stesso discorso per la Juve, che ha preferito ignorare il post del difensore Merih Demiral a sostegno dell'attacco al curdi. Unica squadra in Europa a far scelte diverse è il St. Pauli, club di Amburgo dalla forte inclinazione politica, che per un episodio simile ha invece licenziato un suo giocatore, Cenk Sahin: «incompatibile con le idee della società». A lui, come a Under e Demiral ha “risposto” ieri Hakan Sukur, leggenda del calcio turco che ha visto i propri beni congelati prima di essere costretto all'esilio negli Usa per la sua posizione antagonista rispetto al regime: «Non mi importa di ciò che posso perdere se a vincere è l'umanità».