Gabriele Paparelli, 48 anni, figlio di Vincenzo, il tifoso ucciso da un razzo prima del derby Roma-Lazio del 28 ottobre 1979, ha rilasciato una lunga intervista all'edizione odierna del quotidiano ricordando quel tragico pomeriggio. Queste alcune delle sue parole:
Sono passati ormai 40 anni ed è una ricorrenza triste. Violenza e ricatti negli stadi sono ancora realtà. Un flash di quel giorno?
«Avevo solo 8 anni, ma mi è rimasto impresso tutto, minuto per minuto. Un dolore incancellabile. Era una bella domenica, come le altre, da vivere in famiglia. Abitavamo tutti insieme, con zii e cugini, nel palazzo di via Dronero, a Boccea, costruito da mio nonno. Facevamo tavolate meravigliose...»
E Roma e Lazio, entrambe partite male, si stavano per giocare il primato cittadino...
«Pensi che all’inizio papà aveva deciso di andare a trovare i nonni a Valmontone. Pioveva. Poi, a metà mattinata, si affacciò uno spiraglio di sole e lui chiese a mamma di accompagnarlo. Io piantai un capriccio, piangevo. Volevo andare con loro all’Olimpico. Ma fu irremovibile: Meglio di no, se qualcuno si mena potrebbe essere pericoloso, mi disse».
La notizia piombò nella tribù Paparelli all’ora di pranzo.
«Erano tutti sconvolti, gridavano. Cercarono di proteggermi. I vicini di casa, per distrarmi, mi portarono al Luna Park, ma al rientro capii: sotto casa c’erano polizia, ambulanze, giornalisti. Mia madre, che aveva solo 29 anni, si era come spenta. Non reagiva. Fui mandato a dormire da una mia zia, e mio fratello da un’altra». In curva Nord spunta spesso un disegno con il volto di sua padre. Le avranno detto che le somiglia, no? «Certo, e ne sono orgoglioso. Ma non è stato bello, le assicuro, portare questo cognome. Sono cresciuto in un clima dove il rispetto non esisteva. Ho combattuto da sempre contro cori, minacce...»
E la purtroppo celebre scritta «10-100-1000...»
«L’ultima l’ho cancellata in zona Termini. Per fortuna oggi, grazie ai Social, si è creato un tam-tam e tanti mi aiutano. Gabrie’, non ti preoccupa’, provvedo io... Giuro: ne avrò coperte migliaia. Non provo odio, ma ogni volta è un coltello che gira nella ferita fresca, e trovare sempre qualcuno che te la smuove è un dolore in più». Il famoso cuore di Roma non esiste? «Certo, c’è anche questo. Tutti i giorni incontro gente che mi dà pacche sulle spalle, che mi chiede scusa per i cori e le scritte vergognose. La tomba a Prima Porta per anni è stata inondata di lettere, sciarpe, fiori. L’altro giorno mi ha intervistato Sky per una puntata speciale di un’ora, e abbiamo dovuto interrompere per la troppa commozione. Tutti e tre gli operatori piangevano».
Cosa le ha fatto decidere di non mettere più piede all’Olimpico?
«È più forte di me. Prima l’ho frequentato spesso, non la curva Nord, solo i Distinti. Ma da tanto ho smesso. Una volta mi è volato un sampietrino sopra la testa, fuori dallo stadio, e ho detto basta. Mia figlia, invece, è appassionata: la accompagna il nonno materno. La società l’ha invitata a festeggiare i suoi 6 anni a Formello, con i calciatori, ed era al settimo cielo...»
(corsera)