IL MESSAGGERO (G. SCARPA) - Saranno dieci giorni lunghissimi per Marcello De Vito. Con il fiato sospeso in attesa che scocchi la data del 20 settembre. Giorno in cui potrebbe essere di nuovo un uomo libero - è ai domiciliari - in attesa del processo che lo vede imputato per corruzione e traffico di influenze sull'affaire dello stadio della Roma. In apprensione, assieme a lui e con motivazioni discordanti, anche molti eletti nelle file dei grillini in Campidoglio. De Vito, a fine settembre, potrebbe infatti fiondarsi nell'Aula Giulio Cesare per occupare la casella di presidente dell'Assemblea capitolina.
IN CAMPIDOGLIO - Potrebbe, appunto. Infatti un'altra carta da giocare, in questa lunghissima partita, è nelle mani della procura. A piazzale Clodio i magistrati possono optare per l'immediato cautelare. Una scelta che i pm devono esercitare prima della scadenza della misura. Una vicenda giudiziaria che perciò si intreccia con la politica. Non solo, ovviamente, per l'oggetto del processo ma anche per lo scranno ricoperto in Comune da De Vito fino al 20 marzo. Giorno in cui gli sono piombati a casa i carabinieri per portarlo in carcere. Ad ogni modo De Vito sarebbe già in grado di occupare il posto di numero uno del consiglio nei giorni immediatamente successivi al 20 settembre, dopo essersi sincerato che la sospensiva prefettizia sia venuta meno. Quest'ultima è agganciata alla revoca della misura disposta dal gip.
LA RINUNCIA - Intanto, però, gli avvocati di De Vito, ieri hanno comunicato di rinunciare ad un nuovo responso da parte del Riesame. Una scelta, quelli dei legali Angelo Di Lorenzo e Guido Cardinali, non priva di senso. Andiamo con ordine: il tribunale delle Libertà, in prima istanza, aveva accolto le richieste cautelari imposte a De Vito dal gip. Successivamente la Cassazione, il 26 agosto, aveva criticato l'impianto accusatorio stabilendo un nuovo rinvio al Riesame. Tribunale che si sarebbe dovuto esprimere oggi, con lo stesso giudice relatore che si era pronunciato la prima volta e che aveva accolto le richieste contenute nell'ordinanza. Questo ha spinto gli avvocati a rinunciare, nella speranza che i pm non vadano verso l'immediato cautelare e con in tasca la decisione della Cassazione che ha segnato, ad oggi, un punto a favore della difesa del politico.
Gli ermellini, infatti, avevano sostenuto che l'ordinanza si baserebbe su un «pre-giudizio» legato all'inchiesta che aveva già portato il costruttore Luca Parnasi, accusato di essere il grande corruttore, a processo. «L'erogazione di denaro, o la messa a disposizione a politici di utilità, sì da consentire all'imprenditore di alzare il telefono - come diceva Luca Parnasi intercettato, ndr - in qualsiasi momento a tutela dei propri interessi» era sicuramente «finalizzata a pratiche corruttive». Ma si tratta dell'indagine precedente, e «tale circostanza non può risolversi in un automatico pre-giudizio, alla stregua del quale orientare la lettura di tutti i fatti successivi». La Cassazione sottolineava che, per il gip, la prova della corruzione di De Vito è nelle dichiarazioni di Parnasi, considerate «un solido elemento indiziario», «ampiamente riscontrato»: il politico aveva presieduto l'assemblea del 14 giugno 2017, quando era stata approvata la delibera chiave sullo Stadio, e poi c'erano le utilità conseguite da Mezzacapo. Passaggi che, però, non avevano convinto gli ermellini. Per la Corte, dalle dichiarazioni di Parnasi emerge l'intento di accreditarsi con il Movimento, ma le sue parole non hanno «il valore confessorio di un patto corruttivo».