IL MESSAGGERO (S. PIRAS) - Devono rientrare dall'investimento. E soprattutto devono comunicare ai propri finanziatori date certe sui lavori. È questo il pensiero fisso dei dirigenti giallorossi. Non è mica Francesco Totti, bensì l'enorme progetto calcistico-immobiliare a Tor di Valle. Ieri Mauro Baldissoni ha avuto l'ennesimo incontro in Campidoglio. Riunione operativa? Macché. La discussione si è incagliata sulle ferrovie, in particolare sulla Roma-Lido. Con il club giallorosso che ci metterà 45 milioni di euro di oneri concessori e la Regione che ne metterà altri 180 milioni della Regione. Progetto fondamentale su cui ruota tutto: secondo la conferenza dei servizi il 50% del trasporto verso lo stadio dovrà avvenire su ferro .
COMPETIZIONE - Da qui le frizioni tra le parti. Con l'ultimatum finale del Comune: prima le opere, poi lo stadio. Oppure niente. La Roma è stretta, a questo punto: per far stare tranquilli gli investitori stranieri, il club dovrebbe comunicare un cronoprogramma che per ora non c'è. Troppo incerti i tempi per finanziamenti e lavori. E Baldissoni, allora, ha provato la forzatura: ha chiesto di avviare comunque la pratica dello stadio, anche in deroga alla conferenza dei servizi. Cioè prima lo stadio, poi le opere. Secca la risposta del Comune: «Non si può. O si fa alle nostre condizioni, oppure niente». Fumata nera, un'altra. Anche se le parti torneranno a vedersi a breve: in programma altri tre incontri. Baldissoni, già prima del vertice, aveva espresso a Sky la posizione del club: «Possibilità che Pallotta lasci se non si fa lo stadio? L'impianto è cruciale perché amplificatore di ricavi necessari per incrementare la capacità competitiva. Senza sarà pressoché impossibile sfidare la Juventus». E ancora: «È evidente che se alla lunga il presidente vedrà che non gli viene consentito un investimento enorme, che gli permette primeggiare, potrebbe pensare che forse non vale la pena farlo».
La posizione della Raggi, da qualche mese, è diversa: dopo gli arresti per corruzione (prima Parnasi, poi De Vito), la sindca ci va con i piedi di piombo. IIl nodo è quello della viabilità. «La legge è chiara, l'opera deve consentire la sua stessa fruibilità», spiegano in Comune. Tradotto, il potenziamento del trasporto su ferro rimane imprescindibile per tutelare i 250 mila residenti di Ostia che con lo stadio e senza opere rimarrebbero affogati dal traffico. Baldissoni avrebbe invece dato la disponibilità a stanziare i 45 milioni in cambio di certezze. Avrebbe spiegato infatti che la finanziabilità dell'opera non deve essere intralciata da ulteriori rallentamenti. Questo perché ha il fiato sul collo dei finanziatori che vogliono date precise sulla vendita dei primi biglietti. Il Campidoglio, a sua volta, ha bisogno di altre garanzie: che lo stadio apra quando ci saranno le infrastrutture che lo sostengono. «Loro vogliono aprire uno stadio ma noi dobbiamo pensare alla città».
CAUSA - Per questo a Palazzo Senatorio sono pronti a tutto, anche alla possibilità che sia la Roma a sfilarsi, magari facendo poi causa in tribunale. La tattica del Comune è quella dello strappo soft: «Per decidere di cambiare rotta e dire no a un'opera su cui non sei più convinta c'è un modo molto capitolino e Raggi, da brava avvocato lo ha capito. Gli uffici non sono in grado di lavorare alla pratica in modo veloce e spedito. Ed è il miglior modo per ingranare la retromarcia», dice un dirigente.
Così si spiega dunque la grande distanza e il gelo percepito ieri da Baldissoni che deve tenere dentro tutto: psicodramma e finanza. Un binomio poco comprensibile che si è attirato ieri attacchi durissimi come quello della capogruppo M5S Roberta Lombardi. «Il business regna- scrive - anche laddove manca il beneficio per tutti gli altri: i tifosi, i cittadini, la squadra, la città». E quindi le evidenze, per la cronaca, forse sono diventate altre. Che questo stadio è diventato un tantino ingombrante.