LA REPUBBLICA (F. FERRAZZA) - «Ho inviato da Boston importanti membri di Sdr (Stadio della Roma, ndr) sperando in un progresso, ma al Comune erano troppo occupati per incontrarli». È James Pallotta a uscire duramente allo scoperto sulla questione stadio, cambiando improvvisamente strategia mediatica su una vicenda che lo sta sfinendo. Nei tempi e nei modi.
Il presidente della Roma segue a distanza le vicende giudiziarie che coinvolgono da mesi il Campidoglio, sfiorando, quanto basta per allungare i tempi, il progetto Tor di Valle, e mettendo a dura prova un iter che è partito nel 2012, passando per tre sindaci (Alemanno, Marino e Raggi), e una Conferenza dei servizi. «Forse un così grande investimento e tanti nuovi posti di lavoro non sono così importanti - continua il tweet di Pallotta attraverso l’account del club giallorosso - se i tifosi vogliono lo stadio, devono sollecitare un intervento».
Il numero uno di Boston chiede alla sua gente di aiutarlo a fare pressioni sulle istituzioni per sbloccare la vicenda, stanco di continui rinvii e della - a suo dire - poca importanza che viene data all’investimento fin qui fatto dal suo gruppo. Un cambio di strategia mediatica sull’argomento da parte di Pallotta, finora rimasto in disparte sulla questione stadio, perché in attesa di risposte che ancora non arrivano. Da tre settimane la pec con la proposta di convenzione urbanistica è sul tavolo del Campidoglio, e la pazienza del presidente statunitense è arrivata al limite.
Ma l’appello fatto ai tifosi arrabbiati per il no di Conte, e sfiduciati perché non vedono spiragli di crescita sportiva, sembra molto distante dal sentimento popolare. I romanisti seguono giornalmente le questioni legate alla squadra del cuore, facendo sentire la propria voce attraverso quelle radio che Pallotta ancora una volta - durante un convegno a Miami - ha trattato in maniera offensiva.«Abbiamo aperto una nostra radio - le sue parole - perché a Roma ce ne sono altre nove che parlano solo di calcio e sparerebbero merda tutto il giorno. Mi sono stancato e ora tre di queste nove sono in bancarotta, ne rimangono sei». La senatrice del gruppo misto Loredana De Petris parla di «insulti» e «velate minacce». E annuncia un’interrogazione parlamentare.