La contestazione è iniziata verso le ore 15 e, appunto, è andata avanti per quasi due ore. Presi di mira dagli ultrà soprattutto il presidente James Pallotta e il vicepresidente esecutivo Mauro Baldissoni, invitati entrambi a lasciare immediatamente la guida della società. Ma tanti cori di scherno (eufemismo, ndr ) sono stati dedicati anche a Franco Baldini (consulente personale di Pallotta) e un paio a Guido Fienga, nuovo Ceo giallorosso. Insomma, ci è andata di mezzo un po’ tutta la dirigenza, i tifosi non hanno risparmiato nessuno in tal senso. Alternando i cori «contro» a slogan di amore e affetto per Daniele De Rossi. Perché la rabbia della tifoseria romanista è esplosa proprio sulla scia della comunicazione del mancato rinnovo del contratto al capitano giallorosso. Forse più per la forma che per la sostanza, anche se per qualcuno restano valide entrambi. Poi alcuni striscioni, tra cui i primi «Pallotta-Roma mai stati uniti», «DDR è la Roma», «Le bandiere non si ammainano, si difendono e si onorano. Dirigenza di cialtroni senza rispetto», «L’As Roma appartiene a noi», «Stemma, barriere e simboli di Roma. La vostra azienda deve finire ora» e «L’As Roma è la nostra leggenda... solo gli indegni la chiamano azienda».
E tra i vari striscioni ce n’era uno fisso, proprio con lo sguardo rivolto alle finestre della sede: «No allo stadio», accompagnato spesso da cori contrari alla costruzione del nuovo impianto di Tor di Valle. Questo perché nella tifoseria romanista si è oramai consolidata l’idea che Pallotta sia a Roma solo per un interesse economico legato proprio al nuovo stadio. E, quindi, viene da sé l’equazione no stadio-no Pallotta. Come dire, è un modo per mandare via il presidente il prima possibile, anche se forse – in caso – è vero soprattutto il contrario. E, cioè, che se Pallotta un giorno deciderà davvero di vendere la Roma è più facile che succeda con l’okay in mano per lo stadio che non senza.
(gasport)