LA REPUBBLICA (C. CITO) - Alla fine negli stadi è apparso il ricordo di Dede, previsto, temuto, vietato e fermato, come a Roma, dove gli Irriducibili non hanno potuto esporre il proprio lutto e sono entrati all’inizio del secondo tempo di Lazio-Torino innalzando al cielo solo la loro voce. Daniele Belardinelli, uno del Varese, dell’Inter, uno di molte curve, era però a Parma, da una parte e dell’altra, e l’affratellamento tra opposte tifoserie è venuto sotto la scritta “Ciao Dede”, un saluto in font fascista che agli ingressi del Tardini non ha trovato resistenza. In mattinata la madre di Belardinelli aveva chiesto con un post su Facebook di «lasciare in pace mio figlio. Non lo giustifico ma che adesso, d’ora in poi, riposi in pace e che sia ricordato come io lo ricordo fuori dal mondo del calcio». Il calcio l’ha adottato in qualche modo, le curve avvicinate dalla loro dominante e comune estrazione politica ne hanno fatto un martire, un fratello di tutti, il simbolo di un’appartenenza trasversale.
A Roma il suo ricordo ha scavalcato Ponte Milvio ma s’è fermato ai margini dello stadio. Alle 12, gli esponenti della storica frangia del tifo laziale già esponevano il loro urlo di battaglia, “Un ultras non muore mai, Daniele con noi”. Fermati e spogliati di quel vessillo, come prescritto da un protocollo che è quasi di guerra, gli Irriducibili hanno rinunciato a 45 minuti di partita e poi sono entrati, ma senza esporre altri segni della loro occupazione della Nord. «Non è la prima volta che uno striscione viene prima autorizzato e poi sequestrato: doveva e poteva entrare» il commento di Fabrizio “Diabolik” Piscitelli, il capo degli Irriducibili. Per divieto prefettizio era rimasta vuota, ma per tutto il tempo, la curva del Castellani di Empoli dedicata agli interisti. I fronti aperti dalla terribile notte di Santo Stefano erano due.
A Napoli ha prevalso, stravinto, la vicinanza a Koulibaly. Migliaia di maschere col suo volto sono apparse sugli spalti, Ghoulam è entrato nel riscaldamento con la sua maglia, diversi striscioni, tanti dei quali scritti da bambini, hanno espresso la solidarietà della città al difensore, sommerso di buu razzisti a San Siro. All’arrivo della squadra, un gruppo di tifosi ha esposto la scritta “Siamo tutti Koulibaly, no al razzismo”, lo stadio ha urlato il suo nome, e dall’altoparlante si è diffusa la voce di Pino Daniele che cantava “Viva viva ‘o Senegal”. L’ha sentita Koulibaly, da qualche parte in tribuna. Partirà solo oggi per le vacanze. Avrebbe potuto anticipare, ma allo stadio è voluto esserci. Prima di tutto questo però, ore prima, gli ultrà di Torino e Bologna s’erano affrontati in un’area di servizio della A1, dalle parti di Firenze. Scese da due diversi pullman diretti al sud, a Roma e Napoli, una cinquantina di torinisti ha affrontato una trentina di bolognesi, botte, calci e cinghiate, fino al lancio di un sasso verso un terzo pullman di tifosi granata, minuti di follia inquadrati dalle telecamere di sorveglianza: tutti i coinvolti sono stati identificati. Una sessantina di km più a sud c’è l’area di Badia al Pino, dove trovò la morte Gabriele Sandri, undici anni fa, una lontananza temporale svanita in un lampo. «Oltre a sbattere in carcere chiunque violi leggi e regolamenti sportivi, bisogna bloccare la trasferte degli ultrà a tempo indeterminato e assegnare le partite a tavolino agli avversari come conseguenza di qualsiasi episodio di violenza» chiede il segretario del sindacato di Polizia Fsp Valter Mazzetti. Di inasprimento delle pene se ne discuterà a inizio anno al Viminale, dove Salvini ha convocato le società di A e B e i rappresentanti dei tifosi. Dei fatti accaduti sulla A1 il ministro dell’Interno ha parlato di «deficienti, che non dovranno mai più mettere piede in uno stadio finché campano. Un vero tifoso non lancia sassi né usa coltelli, tolleranza zero». Ieri era a Bormio e ha postato un’immagine di Dominik Paris, alludendo allo “sport che ci piace”.