IL TEMPO (M. VITELLI) - Il mondo del calcio piange Gigi Radice. Classe ‘35, prima giocatore e poi allenatore, è stato per un campionato anche sulla panchina della Roma. Era la stagione 1989/90, quella giocata dai capitolini allo stadio Flaminio (con 10.000 abbonati) a causa dei lavori di ristrutturazione dell'Olimpico in vista di Italia '90.
Radice entrò subito in sintonia con i tifosi giallorossi grazie al suo carattere deciso e tenace. In quella squadra c’era un blocco «romano» importante composto da Giannini, Desideri e Petruzzi, il «sangue” della città amava quell'allenatore scorbutico ma leale. In attacco la coppia Voeller-Rizzitelli faceva innamorare, nessuno usciva dal campo con la maglia asciutta. E quel gruppo, che lottava su ogni pallone con lo spirito del suo tecnico, arrivò sesto, conquistando la qualificazione alla Coppa Uefa. Radice andò via per fare posto a Bianchi, la Curva lo salutò con uno striscione carico di significati: «Un uomo solo al comando, 11 leoni al suo fianco, la sua maglia è giallorossa, il suo nome è Gigi Radice».
Nei trent'anni di lavoro da allenatore in giro per l’Italia, Radice ha guidato anche Monza (ad inizio e a fine carriera), Treviso, Cesena, Fiorentina, Cagliari, Torino, Bologna, Milan, Bari, Inter e Genoa. Da calciatore, giocava difensore, vinse indossando la maglia del Milan tre campionati italiani ed una Coppa dei Campioni (1962/63). Da allenatore, invece, rimane nella storia lo scudetto conquistato sulla panchina granata nella stagione 1975/76. L'unico titolo nazionale vinto dal Torino dopo la tragedia di Superga. Con Radice, che era malato di Alzheimer, se ne va un altro pezzetto di quel calcio d'altri tempi che non tornerà più.