Boca-River svela la crisi dell'Argentina. L'imbarazzo di Macri alla vigilia del G20

26/11/2018 alle 15:35.
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LA STAMPA (E. GUANELLA) - Il lato peggiore del calcio e della società argentina, trasmesso in mondovisione in una partita che doveva essere di festa e che si è trasformato in un vergognoso spaccato di un Paese segnato dalla violenza. Venduta come la "sfida del secolo", la prima finale della Coppa Libertadores fra Boca Juniors e River Plate ha mostrato al mondo lo stato deplorevole di tutto quello che ruota intorno al "futbol", passione sfrenata ma senza controllo degli argentini. Un duello in due atti, entrambi rimandati per causa di forza maggiore e ora non si saprà se e quando si giocherà. La Conmebol, confederazione sudamericana di calcio, ha accettato il ricorso del Boca Juniors che ha dichiarato di non poter giocare perché non era garantiti il principi di "pari condizioni" dopo l'aggressione subita sabato ai suoi giocatori che stavano entrano allo stadio Monumental per la finale di ritorno, mentre fuori dai cancelli c'era la guerra, con ultras che hanno sfondato i cancelli per entrare senza biglietto, intere famiglie derubate, decine di auto distrutte nei pressi dello stadio. Un caos generale, con le forze dell'ordine allo sbaraglio. Le radici La partita è stata rimandata di 24 ore, ma ieri il Boca, a causa della lesione all'occhio sinistro del suo capitano Pablo Perez, ha gettato la spugna. Tutto da rifare, quindi, non si sa bene come e quando. Sarebbe facile liquidare il tutto con la classica frase del "manipolo di facinorosi", ma il pozzo è molto più profondo; le radici stanno in una società malata, dove la violenza è diventata da tempo la forma perversa di risolvere qualsiasi conflitto. Un tifo o presunto tale che giustifica qualsiasi pazzia, come la mamma che è stata ripresa nascondendo dei mortaretti sotto la maglietta della figlia di meno dieci anni per eludere i controlli all'ingresso dello stadio. Il giornalista Daniel Arcucci, ex inviato a ai tempi di Maradona, l'ha detto chiaramente: «Non sono una manciata di disadattati, sono molti e completamente inseriti in un sistema che giustifica una passione completamente sbagliata, dove il rivale è un nemico. Non si deve semplicemente batterlo, ma aggredirlo, umiliarlo, ucciderlo». La lista La Ong "Salvemos elfutbol" fondata da madri di vittime della violenza negli stadi, ha stilato una lista dei 328 morti nella storia del calcio argentino. Il primo è del 1922, un minorenne schiacciato sulle tribune del club Sportivo Barracas a Buenos Aires; l'ultimo tre settimane fa, un ventenne ucciso negli scontri tra ultras del Gimnasia Jujuy e del Deportivo Moron. Alla Fifa sono iscritti 211 Paesi ma soltanto in Argentina da sei anni le partite si giocano esclusivamente con il pubblico della squadra di casa. Il presidente argentino Macri, che pure ha guidato il Boca Juniors per 12 anni, ha detto che per la finalissima si sarebbe potuta fare un'eccezione, ma dai due club gli hanno detto che sarebbe stata una pazzia. Adesso lo stesso Macri deve rassicurare il Mondo in vista del vertice dei capi di Stato del G20 che si terrà proprio venerdì a Buenos Aires. «In un paese dove un terzo della popolazione è povera— ha affermato lo scrittore argentino Martin Caparrosdove c'è il 45% di inflazione e l'educazione è in caduta libera, questa finale era l'occasione di mostrare un'immagine positiva del nostro Paese. Non ci siamo riusciti, il mondo ha visto come siamo ridotti; speriamo solo che sia servito a qualcosa». Il "sistema futbol" è malato e dominato da tempo dalle "barras bravas"; controllano la rivendita di biglietti, lo spaccio in curva, i parcheggi abusivi, esigono dei "bonus" per il trasferimento dei giocatori, minacciano cronisti, giudici e poliziotti. I presidenti dei club, eletti dai soci ogni quattro anni, le usano per controllare gli avversari politici e far tacere chi denuncia i bilanci adulterati. Durante la finale della Coppa America del 2011 allo stadio Monumental gli ultras del River si sono infiltrati a bordo campo con finti accrediti stampa e hanno sottratto lenti fotografiche e telecamere agli inviati di giornali e televisioni. Se il "futbol" brucia, la Fifa, storicamente, non fa nulla; tra chi spingeva sabato perché al Monumental si giocasse comunque c'era il patron Gianni Infantino, che si è arreso solo quando i giocatori del River si sono uniti a quelli feriti del Boca. Stessa cosa il giorno dopo. Per il business miliardario dei diritti tv lo spettacolo può essere anche marcio, ma deve continuare, sempre e comunque. Questa volta, però, si è superato ogni limite. Alla fine il pallone è rimasto fermo e l'impressione generale è che a perdere siano stati tutti quelli che, in a Argentina e altrove, amano il calcio.