Uno è considerato un mostro sacro e ha vinto, da calciatore prima e da allenatore poi, tutto quello che si poteva vincere. L’altro ha fatto una buona carriera da giocatore e come tecnico sta sgomitando per entrare nel club dei migliori. Uno è Carlo Ancelotti, che dopo anni in giro tra le più grandi società del mondo - ha vinto titoli in Italia, Inghilterra, Francia, Spagna e Germania - ha accettato di raccogliere a Napoli l’eredità di Maurizio Sarri. L’altro è Eusebio Di Francesco, e sulla panchina romanista vuole dimostrare che la semifinale di Champions League della scorsa stagione non è stata un episodio ma l’inizio di un percorso, personale e di squadra. Domenica sera si troveranno per la prima volta da tecnici uno di fronte all’altro al San Paolo (arbitra Massa). (...) Sono diversi, Ancelotti e Di Francesco. Il primo (che ritrova la Roma da avversario dopo oltre 9 anni) è considerato un gestore di campioni che lo ascoltano senza obiezioni. Il secondo è considerato un uomo di campo, e per farsi ascoltare dai suoi calciatori deve convincerli che il lavoro quotidiano paga, l’unica strategia possibile in mancanza dei milioni su cui il suo avversario ha sempre potuto contare.
(...) È questo il punto di contatto, l’unico ma comunque decisivo, tra Ancelotti e Di Francesco. Entrambi hanno giocato nella Roma e vinto uno scudetto: un evento che ti fa entrare di diritto nella storia di un club (e nel cuore dei tifosi) che di vittorie ne conta poche. Ancelotti ne ha sfiorato un altro, di titolo: era capitano il giorno della disfatta col Lecce che costò lo scudetto ai giallorossi nel 1986, e se non si fosse fatto male a metà stagione probabilmente anche la Coppa dei Campioni del 1984 avrebbe potuto avere un altro epilogo. Di Francesco lo scorso anno è andato vicino all'impresa e ha tutto il tempo di riprovarci, magari (ri)partendo dalla gara di domenica sera a Napoli.
(corsera)