LA REPUBBLICA (M. PINCI) - Quando gli prospettarono l’idea, a Pallotta piacque subito. Lui i soldi li ha fatti con gli hedge fund, i fondi speculativi, e quello che gli prospettavano somigliava molto a quel modello. Dopo 7 anni di gestione, però, il campo lo ha messo di fronte al primo vero fallimento del player trading: comprare calciatori a prezzi favorevoli per valorizzarli e venderli a cifre elevate maturando plusvalenze. In Italia lo importò di fatto l’Udinese: vi ricordate i vari Bierhoff, Amoroso, Jankulovski, Sanchez? La Roma, con l’ex ds Sabatini, alzò ancora l’asticella: l’obiettivo delle operazioni diventava addirittura migliorarsi. Da Marquinhos a Benatia, da Benatia a Manolas. Il player trading ha prodotto a Roma 470 mln di plusvalenze, oltre 100 solo nell’ultima estate, ma anche tre secondi posti, due terzi e una semifinale di Champions. I costi di gestione altissimi sostenuti dai sacrifici e dalle intuizioni dell’ex ds Sabatini. Quando i rapporti con lui s’incrinarono, Pallotta volle Monchi, che con lo stesso sistema aveva portato a Siviglia soldi e trofei. Ma il giocattolo che dal 2011 ha frullato 95 calciatori una squadra all’anno - si è rotto. Basta un errore per rovinare tutto, in una squadra che cambia volto ogni estate.
La spallata del campo al modello player trading: così crolla la linea Pallotta
25/09/2018 alle 13:07.
Anche per questo nelle ultime stagioni, parallelamente, tanti hanno iniziato a percorrere un’idea diversa. La Juve lo ha capito in fretta: una cessione, salatissima, e un acquisto all’altezza, non di più. Via Vidal dentro Dybala, via Pogba dentro Higuain, via Bonucci dentro Douglas Costa, via Higuain dentro Ronaldo. L’organico resta sostanzialmente lo stesso, il margine di rischio si abbassa e si lavora sull’identità di squadra. Il Napoli ne ha fatto un sistema da tempo: mai più di una cessione pesante. L’altro ieri Lavezzi prima e Cavani poi, sostituito da Higuain. Quando l’argentino è partito, dentro Milik. Ora Jorginho, per Ruiz. E se anche la scommessa non paga, la squadra resta competitiva. La Fiorentina, che un anno fa stravolse la squadra pagando con sei mesi d’adattamento, ha cambiato rotta. E a chi ha chiesto Chiesa e Simeone, in estate, ha detto no: ora se li gode dall’alto del terzo posto.