IL ROMANISTA (P. TORRI) - Venerdì sera a San Siro si è accomodato in tribuna. Per seguire le due squadre che probabilmente gli sono più care. Se non altro per il fatto che con Milan e Roma prima ha giocato, poi le ha allenate. Vincendo. Più in rossonero che in giallorosso, ma questa non è certo una notizia. Soprattutto per Fabio Capello che, comunque, è stato uno dei pochissimi che da queste parti è riuscito a cucirsi uno scudetto sulla maglia. (...)
Mister troppo brutta la Roma di San Siro per essere vera?
«Non esageriamo».
In che senso?
«Dividerei la partita dei giallorossi in due tronconi».
Quali?
«Primo e secondo tempo. Sono stati molto diversi».
Partiamo dai primi quarantacinque minuti.
«La Roma mi è piaciuta poco, di fatto è come se non avesse giocato, limitandosi a guardare quello che succedeva in campo. Quasi inevitabile che alla fine del primo tempo andasse meritatamente in vantaggio. La Roma che avevo visto nel passato campionato era una squadra che provava sempre a imporre il suo gioco».
Secondo tempo.
«Un'altra Roma anche se non brillantissima. Nella ripresa la Roma ha dimostrato maggiore personalità e idee più chiare. Non a caso, prima dell'infortunio all'ultimo secondo del gol di Cutrone, aveva recuperato la partita rischiando più volte pure di vincerla».
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Allora è stata una questione di modulo...
«Ancora con questi moduli. Per vincere le partite servono altre cose».
Quali?
«Correre. Tutti per novanta minuti, facendolo con aggressività e personalità. Vuole sapere con che modulo dovrebbe giocare la Roma?».
Volentieri.
«Il nove-uno».
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Troppo moscia quindi questa Roma?
«Deve andare in campo con più convinzione, voglia e aggressività per sfruttare fino in fondo il potenziale che ha. E di potenziale vi garantisco che ne ha parecchio. Poi c'è un'altra cosa che deve ridurre al minimo».
Gli errori?
«Evitare gli errori è una cosa ovvia. Invece quello a cui mi voglio riferire, è che si devono ridurre al minimo i passaggio indietro. Non hanno senso e si rischia di perdere il pallone con conseguenze che possono essere deleterie. Peraltro è un difetto che oggi è molto comune un po' in tutto il nostro calcio».
Dipende dall'essere ingabbiati dagli schemi?
«Secondo me dall'atteggiamento mentale. Molte squadre oggi giocano puntando, chi più o chi meno, sul recupero del pallone. Un'idea con cui si può essere d'accordo. Ma una volta che quel pallone in qualche maniera si recupera, dopo è necessario puntare verso la porta avversaria, solo così si può sfruttare il vantaggio di aver ripreso il pallone. In Italia c'è una squadra che questo concetto lo mette magnificamente in campo».
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Lei al posto di Di Francesco ora su cosa punterebbe?
«Di Francesco sa benissimo quello che deve fare, del resto lui i giocatori li vede e li allena tutti i giorni. Posso limitarmi a un consiglio di base».
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