IL TEMPO (A. OSSINO) - «Erano una decina, tutti con le magliette della Lazio a cantà i cori. Niente te lascio immaginà il seguito. Semo partiti fratè, sfonnati, non puoi capire. Biciclette che volavano. Io ho tirato un secchio della monnezza su un tavolo ... Ne ho sbragati 3. Bellissimo». La fotografia di un'aggressione racchiusa in una telefonata. Un'intercettazione che aveva permesso agli inquirenti di risalire a quel «gruppo di circa 20 persone (che ndr) alla vigilia della partita di derby Roma-Lazio, aggredivano con calci, pugni e uso di oggetti contundenti o armi da taglio, una comitiva di turisti svedesi che indossavano la maglia della Lazio». Pedinamenti, video e telefonate captate. Sono prove importanti quelle a disposizione della procura di Roma. Per questo il pm Eugenio Albamonte ha chiesto il rinvio a giudizio nei confronti di 13 ultras della Roma. Sono loro, secondo l'accusa, ad aver aggredito e accoltellato, nel 2016, alcuni turisti intenti a consumare «un pasto nei tavoli esterni del pub Yellow di via Palestro numero 20». Grazie alle indagini era venuto alla luce anche il manifesto programmatico dei tifosi giallorossi che, per gli inquirenti, rappresenta un «modus agendi da branco, studiato, coeso, programmato, per realizzare azioni connotate da assoluta gravità ed efferatezza». La procura di Roma sostiene che gli indagati, da Roma a Madrid passando per Vienna, «hanno mostrato un forte spirito corporativo, una coesione che sarebbe degna di ben altre attività, oltre che una capacità, pure economica, di seguire la propria squadra in trasferte anche all'estero, ovviamente con finalità tutt'altro che sportive, ma in ogni caso violente e consapevolmente criminali». «Molti ragazzi hanno vissuto per la prima volta dei momenti di tensione e si sono comportati bene - racconta in una chat uno dei tifosi coinvolti - Quindi avanti così fianco a fianco, partita dopo partita per crescere ancora. Oggi eravamo 300 domani saremo 500. Orgogliosi di noi e di quello che abbiamo costruito. Non si molla un centimetro». «La coesione del gruppo, la forte determinazione e la progettualità di reiterazione delle azioni delittuose», si evince anche da quello che gli inquirenti definiscono «un manifesto programmatico». Ecco il contenuto: «Questa chat è stata fatta perché ognuno che ne fa parte crede in questo gruppo e in quello che si sta facendo. Far parte di un gruppo significa sacrificio ... Significa credere in quello che si fa. Se in questo gruppo qualcuno non ha voglia o gli è passata o vuole farsi le trasferte tranquillamente per conto suo non c'è nessun problema... Può uscire senza nessuna costrizione da parte di nessuno. Ma se si sta qui sopra ci si sta in una certa maniera. In una certa maniera significa dare la propria disponibilità, rinunciare se serve a una serata in discoteca o qualsiasi altra cosa. Se qualsiasi persona che sta qui sopra ci ha ripensato e non se la sente nessun problema ripeto. Per chi rimane mercoledì tutti presenti (...). Tutti! Così da cominciare a conoscervi per cominciare a viaggiare spalla a spalla in tutto!».