LA REPUBBLICA (L. D'ALBERGO) - Quando i big del mattone si muovono, di solito a Roma sono guai. Grattacapi a non finire per chi non ha le spalle abbastanza larghe per contenerne le mire espansionistiche: nella lista delle vittime eccellenti del sistema Parnasi, oltre al Campidoglio, c’è pure Atac. Già, perché anche la municipalizzata dei trasporti — che di problemi, tra stato del servizio e un concordato pendente, ne ha già abbastanza — a suo tempo ha fatto affari con Parsitalia, società del gruppo di proprietà del costruttore finito in carcere dopo il blitz della procura sullo Stadio della Roma. Soldi, tanti soldi, in cambio di cemento e dell’immancabile contenzioso milionario. Per il suo nuovo quartiere generale al Castellaccio, neoagglomerato urbano a ridosso dell’Eur, l’azienda di via Prenestina rischia di dover pagare 20 milioni di euro di penale. Senza che la sede sia stata neppure battezzata. Come sanno bene i magistrati della procura della Corte dei Conti, quei 26 mila metri quadrati sono immacolati. Un monumento allo spreco di risorse pubbliche, come hanno sottolineato nei loro esposti Marco Rettighieri e Armando Brandolese, l’ex direttore generale e il vecchio amministratore delegato del carrozzone da 1,34 miliardi di euro di debiti controllato dal Comune.
Nella loro denuncia, i due manager ripercorrono le tappe dell’affare e il report ha dell’assurdo. Si parte dal 2006, in era Veltroni. Ma a definire l’operazione, solo abbozzata dalla giunta di centrosinistra, sarà il sindaco Gianni Alemanno. Palazzo Senatorio decide di dotare Atac di una nuova sede. Ed è l’allora ad Adalberto Bertucci a trovare l’accordo con Bnp Paribas, proprietaria dell’area calata nel IX municipio. Nel bel mezzo della trattativa, la superficie della futura sede passa da 21 mila a 26 mila metri quadrati e il prezzo da versare per arrivare alla stretta di mano sale da 99 a 118 milioni. I primi 20 vengono versati immediatamente, a titolo di anticipo, nel 2009.