Una lista di politici a «libro paga» e le indicazioni precise sui soldi versati ai partiti attraverso le fondazioni. C’è anche questo nel verbale di interrogatorio del costruttore Luca Parnasi, chiuso nel carcere di Rebibbia proprio con l’accusa di aver concluso affari — primo fra tutti il nuovo stadio della Roma — con finanziamenti illeciti e mazzette. Lui non lo nega, specificando che era proprio questo era il sistema per riuscire ad avere accesso «negli ambienti giusti». «È vero, pagavo la politica, e l’ho sempre fatto. Quello delle fondazioni era un modo per finanziarla», ha raccontato nelle sue undici ore di interrogatorio l’immobiliarista arrestato a metà giugno e che ieri, tramite i suoi legali, ha depositato richiesta di scarcerazione. Poi è entrato nel dettaglio dei versamenti effettuati: nel 2015, da 250 mila euro, alla Lega attraverso la onlus Più Voci e nel 2018, da 123 mila euro, al Pd attraverso la fondazione Eyu di Francesco Bonifazi già emersi nell’inchiesta. «Erano soldi che mi servivano per arrivare ai partiti e in certi ambienti», ha ammesso Parnasi riconoscendo che i pagamenti sarebbero avvenuti senza una apposita delibera dei cda delle aziende del costruttore e dunque in maniera illecita. (...) Racconta, il 40enne costruttore, che quei versamenti in campagna elettorale erano per lui una prassi ma in un certo senso anche un obbligo: «Mi chiamavano in tanti per farsi sostenere economicamente», mette a verbale, assistito dagli avvocati Emilio Ricci e Giorgio Tamburrini, spiegando anche che le richieste in questo senso diventavano pressanti. E che lui «li accontentavo perché poi potevano tornare utili». (...) Su tutta la vicenda aleggia poi la relazione speciale instaurata da Parnasi con Luca Lanzalone, fulcro dell’inchiesta e foriera di altri possibili sviluppi. I pm gli chiedono conto della frase intercettata in indagine «Questo mi ha risolto lo stadio!» e il costruttore conferma che l’avvocato grillino con pieni poteri sul dossier Tor di Valle è stato davvero l’artefice della ripartenza di un progetto che dopo il «no» iniziale di Virginia Raggi sembrava destinato a morire. Gli atti processuali mostrano l’elenco delle consulenze che Parnasi ha fatto avere a quello che ormai era diventato «un amico» e i favori elargiti, compreso un appartamento a Roma. Il prezzo, questa è l’accusa, dell’aiuto sull’appalto assegnato dal Campidoglio. E il costruttore dal carcere conferma: «Lo presentavo a tutti, dicevo che era bravo».
(corsera)